Benedetti, sulla bici da mediano

Il grestano alla seconda stagione da pro: «Voglio fare bene il gregario»


Luca Franchini


TRENTO. Se giocasse a calcio, il suo ruolo sarebbe quello dell'instancabile mediano. Giocatore che fa legna a centrocampo, che segna poco, ma spesso determinante per il successo di squadra. È Cesare Benedetti, grestano trapiantato a Riva del Garda che sta vivendo la sua seconda stagione da "pro" con la maglia del Team NetApp, squadra Professional tedesca con vedute da Pro Tour.
Da due anni, Benedetti vive in Belgio e sogna un futuro da gregario "doc".
Cesare non è un vincente nato, ma la sua costanza è dote assai rara nel mondo delle due ruote. Si spiega così il rinnovo del contratto ottenuto per il 2011 al termine della stagione d'esordio, dopo quel passaggio al professionismo conquistato grazie all'ottimo GiroBio del 2009: cinque giorni in maglia di leader e vincitore della maglia "etica", dato che la dice lunga sulla serietà del corridore.
A chi s'ispira Benedetti?
«Non ho mai avuto un idolo, ho sempre cercato di prendere spunto e di apprendere dalle persone che mi circondavano. Il mio sportivo preferito è capitan Javier Zanetti: come lui, faccio della grinta e della costanza i miei punti di forza. Tanto lavoro sporco: serve anche quello».
Com'è maturata la scelta di correre all'estero?
«Nel 2009 sono riuscito ad andar forte al GiroBio e a fine stagione mi sono guadagnato la possibilità di fare uno stage in maglia Liquigas. Ero ad un passo dal sogno di una vita, sembrava che dovessi firmare. A fine settembre, però, arrivò la risposta negativa. A quel punto dovevo scegliere: smettere? Un altro anno da dilettante? Poi il contatto con la squadra tedesca. L'idea mi attirava, il progetto pure e mi offriva la possibilità di parlare inglese, che ho sempre amato».
Soddisfatto della scelta?
«Ho subito scoperto che il mio umore dipende molto da che tempo fa. Quando sono atterrato per la prima volta in Belgio non ho visto il sole per due settimane: ho sofferto tantissimo. Cosa mi manca? Le mie strade di allenamento. Qui ci sono tanti strappi, ma di salite vere non ce n'è. Allenarmi in Trentino col bel tempo è molto più motivante per me».
C'è qualcosa che l'ha sorpresa del Belgio?
«Mi ha sorpreso la considerazione di cui gode il ciclismo. Nonostante sia stato ammaliato dall'atmosfera, ho capito che le corse del Nord non saranno mai il mio forte: soffro il pavè fiammingo e le corse piatte vicino all'oceano, ma sarà un bel bagaglio di esperienza».
A che punto è la sua crescita come corridore?
«Penso ci sia ancora tanto in cui devo crescere. E bisogna darsi una svegliata perché è un mondo che non ti lascia tempo. Il mio obbiettivo principale è quello di non fare corse anonime e far vedere che ci sono anch'io. Ci sono riuscito all'Hel van Het Mergelland (l'inferno di Mergelland), in Olanda, e recentemente in una corsa a tappe in Polonia, chiusa all'ottavo posto. Ma non basta».
La sua corsa dei sogni?
«Preferisco essere realista. Mi piacerebbe gareggiare il più possibile nelle corse a tappe: ogni giorno pedalare, far massaggi, mangiare, dormire e nessun altro pensiero. Il sogno è quello di confermarmi uomo di fiducia per un corridore vincente, sacrificarmi e lavorare per un capitano che sa farsi voler bene: sarei contento così».













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