Venezia onora l'arte di Schweizer

Pittura e design: da lunedì 30 maggio grande mostra dedicata al «Picasso trentino»


Elisabetta Rizzioli


VENEZIA. Alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia, nelle sale progettate da Carlo Scarpa, domani apre la mostra dedicata all'artista trentino Riccardo Schweizer (Mezzano di Primiero 1925 - Casez 2004); promossa dalla Provincia, dalla Comunità di Primiero e con il patrocinio del Mart "Riccardo Schweizer. Pittore - Designer" rimane aperta a pubblico e critica sino al 27 novembre. Nato nel 1925 a Mezzano, in Primiero, nel 1950, dopo un periodo di studi a Venezia, si trasferisce a Vallarius per conoscere Picasso, diventando precoce e sensibile interprete italiano della lezione del maestro spagnolo nel secondo dopoguerra. La mostra, nata da un progetto di Barbara Schweizer presenta, per la cura di Elisabetta Barisoni, oltre 50 lavori, dai dipinti di matrice picassiana degli anni Cinquanta alle terrecotte, sino ai pannelli in ceramica, le vetrate e le sculture in cemento e plexiglas esposti assieme ad alcuni originali pezzi degli anni Settanta e Ottanta, ed è un'occasione singolare per approfondire gli esiti di quel desiderio plastico che in Schweizer emerge con evidenza già dagli esordi pittorici, così come per apprezzare la poliedrica espansione del suo fare artistico nei diversi vocabolari di volta in volta impiegati.
La vasta e multiforme produzione di Schweizer, animato da un'immaginifica e vivace creatività, prende l'abbrivio nella Francia meridionale, ove ha modo di frequentare Picasso, entrando altresì in contatto con gli artisti - e le loro intelligenti interpretazioni - che operavano in quella regione, tra cui Léger, Chagall, Matisse. Dai maestri francesi recepisce la libertà di essere artista e di esprimere, attraverso i più diversi linguaggi formali, la propria personalissima interpretazione dell'arte moderna e della tradizione respirata nell'ambiente natale. Sin dai primi anni Sessanta, Schweizer realizza grandi progetti murali e significativi cicli decorativi - al 1961 risale l'"Apoteosi della tecnica", che prevedeva 40 metri di affresco per l'Istituto Editoriale Italiano a Milano; degli stessi anni sono le opere a fresco con "San Martino e il povero" per l'omonimo albergo a San Martino di Castrozza e "Tempesta sul lago" per l'Ideal di Limone, e un grande progetto in bassorilievo "Apoteosi della salute", ripresa letterale di una precedente formella in terracotta resa in proporzioni monumentali -, mentre il decennio successivo lo vede impegnato nel design d'interni per importanti commissioni private, come il ristorante "Da Silvio" del 1978, illustrato in mostra con i vivaci disegni preparatori che ne testimoniano il lungo processo creativo; data allo stesso anno il grande olio su tela con la storia dell'Istituto Agrario di San Michele all'Adige. Risale agli anni Ottanta il progetto più illustre, la decorazione del Palazzo dei Congressi e del Festival di Cannes, eseguita con l'impiego di ossidi colorati mescolati al cemento, affiancato in mostra da altre opere significative, come l'arredamento di Casa Trotter a Mezzano e l'intervento presso il Municipio di Cap d'Ail sulla Costa Azzurra.
Riprendere la questione del suo picassismo, ampiamente discussa dalla critica, è funzionale alla comprensione della sua poliedrica produzione; a ragion veduta Antonio Aniante nel 1958 lo definì «il più diretto erede della storia della pittura degli ultimi cinquant'anni», e Gabriella Belli, più recentemente, ha rilevato che l'incontro fra Picasso e Schweizer data al 1950, momento cruciale della pittura italiana del secondo dopoguerra, quando la sperimentazione travolge le regole dell'ordine e dell'isolamento culturale di un paese che il Ventennio fascista aveva tenuto lontano da qualunque confronto con l'avanguardia internazionale (Picasso esponeva per la prima volta in Italia alla Biennale del 1848).
Se quest'ultimo è nei primi anni Cinquanta soggetto imprescindibile per comprendere l'abbrivio dell'arte di Schweizer e strumento per l'evoluzione delle diverse sensibilità insite nel suo sguardo sul mondo, non è tuttavia sufficiente a spiegarne la complessa personalità. In relazione a ciò si consideri ad esempio la pittura del periodo veneziano in cui assieme alla figurazione picassiana si coglie un'asprezza di forme quasi espressionista che dà conto delle origini trentine dell'artista, esprimendo le sue immagini i colori terrosi e cupi della terra con le rocce arrotondate, ed una tensione formale capace di rendere monumentali le figure, talora deformate o sdraiate a campire l'intera superficie di supporto, facendo immaginare paesaggi di montagna che divengono figure, e sassi che si trasformano in nuvole. All'interno di un orizzonte interpretativo che intende la forma umana quale architettura geologica del territorio ed il corpo femminile come paesaggio più completo, quest'ultimo, vicino alle forme plastiche di Henry Moore ricorre costante - accanto al paesaggio, altro grande tema della sua pittura - nella produzione di Schweizer, intesa ad una peculiare "rivoluzione (trentina) dell'universo".

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