Ucciso a caccia, c’è la causa civile 

La tragedia alla Calvera. Michele Penasa aveva 70 anni e fu raggiunto allo stomaco da un colpo di fucile sparato dall’amico. La famiglia ora gli chiede oltre un milione di euro. Archiviata intanto la posizione del terzo cacciatore presente la sera del dramma nei boschi della Rendena



Trento. Era l’11 settembre del 2017 e tre amici erano a caccia. Una serata che si è trasformata in tragedia quando un colpo sparato dal fucile ha ucciso Michele Penasa. Aveva 70 anni, era in pensione dopo una vita trascorsa a fare il guardiacaccia e viveva con la moglie Viviana a Vedersina. Un solo colpo, mortale. Un colpo che, ha stabilito un patteggiamento ad un anno di reclusione (pena sospesa), è stato sparato da Luigi Da Rin D'Iseppo, l’amico di Franco. Indagato anche il terzo compagno di caccia, Carlo Stefani, ma per la sua posizione la procura aveva chiesto l’archiviazione. Una decisione che non era stava compresa dalla famiglia di Penasa che aveva presentato opposizione. Ma, è notizia di questi giorni, il giudice non l’ha accolta e il caso è finito in archivio. Almeno per quanto riguarda il profilo penale e, potenzialmente, fino a quando non arriveranno eventuali altre informazioni che possano far riaprire le indagini su quello che è successo quella sera di settembre fra i boschi e le radure ai 1.600 metri della località Calvera, nel comune di Porte Rendena. Si è aperto, invece il fronte civile, con la moglie di Michele Penasa, Viviana, e i tre figli della coppia, Stefano, Giovanni e Fabiano (con gli avvocati Mazzoni, Gottardi e Galli) che hanno portato davanti al giudice Da Rin D'Iseppo per essere risarciti del danno provocato dalla morte del loro caro. Un danno che è inqualificabile: la perdita di un marito, di un padre non può essere espressa in cifre. Ma davanti alla giustizia civile bisogna dare un valore a quel dolore profondo che resterà per tutta la vita. E la quantificazione supera, in questo caso, il milione di euro. Un cifra che contempla il danno da morte (che comprende anche quello che un tempo veniva definito danno morale) e danno patrimoniale. L’udienza è in calendario nei prossimi giorni e la parola passerà ad un giudice che dovrà decidere, appunto, sul risarcimento.

Il dolore per questa vicenda è stato espresso dalla famiglia anche in una lunga lettera. «Michele, marito e padre, muore ucciso da un compagno di caccia che, pare, lo ha scambiato per un cervo». Così inizia la missiva che solleva diversi dubbi sulla ricostruzione di quanto era successo quella sera. Una famiglia affranta che ha ancora delle domande senza risposta, che ha rincontrato quelle che definisce incongruenze che voleva avere delle certezze. Da qui anche l’opposizione all’archiviazione della posizione di Stefani che però, come detto, non è stata accettata dal giudice.

In base alla ricostruzione degli eventi fatta dai carabinieri e dalla procura. Da Rin D’Iseppo ha raccontato agli investigatori della Compagnia di Riva e al magistrato, Marco Gallina, di aver visto un’ombra, di aver sentito dei rumori, fra alcune betulle, ad un sessantina di metri da lui. Ha pensato a un cervo, ha preso la mira. E ha sparato. Colpendo nello stomaco l’amico Michele Penasa. Parte l’allarme, arrivano i sanitari. La corsa dei soccorritori è purtroppo inutile. La rianimazione non riesce a strappare alla morte l’ex guardacaccia originario di Rabbi ma da tempo residente a Verdesina.

Accanto a Da Rin D’Iseppo ci sarebbe stato sempre l’amico Stefani in quei minuti concitati, in quello che è stato definito come un incidente di caccia. In quel colpo di fucile che ha strappato per sempre alla vita e all’affetto dei suoi cari Michele Penasa.













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