Sotto il parco Michelin i disperati convivono con immondizia e topi 

Il ponte sull’Adigetto è il tetto (e il letto) per rifugiati e senza tetto. Coperte e tende per fingere di avere una casa


di Mara Deimichei


TRENTO. C’è il mondo «di sopra» con i bambini che giocano nel parco, la ragazza che fa jogging sulla ciclabile con il contapassi legato al braccio, il gruppetto che occupa la panchina per godersi gli ultimi giorni di sole. E c’è il mondo «di sotto» fatto di coperte buttate in terra, una baracca improvvisata e letti conquistati in una sorta di intercapedine.

A separare le due realtà che convivono senza conoscersi, il ponte sull’Adigetto, nel parco Michelin, alle Albere. Da sopra è praticamente invisibile, per sotto è il tetto (e il letto) per tanti disperati. Immigrati, rifugiati, gente che non ha una casa, che non trova accoglienza (per diverse ragioni) nelle strutture e che ha trasformato questo pezzo di città nascosta, nel luogo dove trovare rifugio la notte. Quante persone ci vivono? Difficile dirlo. I giacigli sono circa una quarantina, ma la sensazione è che si siano degli «stanziali» e anche chi arriva la sera e poi si porta via tutto. Qui da tre mesi vive un ragazzo pakistano. Ha 19 anni, ma sembra più giovane, arriva il tardo pomeriggio per cambiarsi. Indossa una camicia bianca - che stride con tutto quello che lo circonda - e poi se ne va. Va alla Caritas dove trova da mangiare. Spiega di essere un rifugiato, di non aver altro posto dove dormire e che attende che arrivi un giorno migliore. Lui è uno dei «fortunati». Il suo letto è in alto, in quella sorta di intercapedine che è stata sfruttata per inserirci un materasso. Lontano dalla terra, dall’umidità dell’Adigetto, ha i suoi pochi averi. Un paio di ciabatte, dei vestiti, tutti tenuti in un ordine quasi maniacale, in un contesto dove dominano le immondizie. E i topi. «Ma ci sono anche i serpenti - racconta il ragazzo - una mattina stavo dormendo a pancia in giù. Saranno state le 6 o le 7 e ho sentito qualcosa che si muoveva sulla mia schiena. Ho guardato e ho visto un serpente. Dalla paura sono cascato di sotto. Per fortuna mi sono fatto solo un po’ male al braccio e alle ginocchia». Da quel giorno controlla sempre che nel suo «letto» non ci siano presenze estranee.

Per arrivare in questo «campeggio dei disperati» ci sono due sentieri che sono nati dal passaggio quotidiano delle persone. La maggior parte per dormire ha una coperta che lo isola dal terreno e un’altra per coprirsi. Questa viene anche usata, durante il giorno quando qui sotto non c’è quasi mai nessuno, per «nascondere» i propri avere. Poca roba che magari nessuno vorrebbe rubare, ma è tutto quello che hanno e cercano di proteggerlo: non possono permettersi di perdere nulla di quanto sono riusciti a ragranellare.

C’è chi ha recuperato una tenda e probabilmente si ritiene un privilegiato. E ha portato un pezzo (forse si potrebbe dire un simbolo) del mondo di sopra qui sotto. Sistemato per terra quasi come fosse il tappeto dove, di ritorno da una giornata al mare, si lasciano le ciabatte piene di sabbia prima di entrare in tenda, c’è uno striscione del Festival dell’Economia. L’edizione è quella del 2009.

Il passaggio fra un «letto» e l’altro non è agevole. Il «soffitto» è decisamente basso, è buio anche se fuori c’è il sole e il terreno è scosceso. Il passaggio continuo anche qui ha creato una sorta di sentiero che separa la «zona notte», dall’immondizia. Ed è in mezzo ai rifiuti che i topi pasteggiano. Una convivenza impensabile per quelli del mondo di sopra. Una convivenza obbligata per quelli del mondo di sotto. Verso «l’uscita sud» dell’accampamento c’è la casa di qualcuno che, forse arrivando per primo, ha potuto avvicinarsi meglio all’idea di abitazione. Ha sfruttato l’esistente per ricavare un quadrato delimitato da delle coperte che sono diventate le pareti. Dentro un piatto di plastica, uno di ceramica e del detersivo. È una casa su due livelli: al piano terra la zona giorni, al piano superiore l’intercapedine è stata sfruttata per ricavare lo spazio del letto . Per arrivarci si sale su un muretto e poi con un colpo di reni, si arriva al materasso. E magari chi ci dorme si sente un re.

Pochi passi e si è di nuovo fuori, torna il sole, sullo sfondo ci sono i palazzi delle Albere. In ciclabile c’è la gente che corre, che va in bicicletta. Basta un attimo e si è tornati al mondo di sopra. E tutto quello che c’è sotto è sparito di nuovo, è tornato ad essere invisibile.

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