Signorilità e fatica. La mostra su Sartori

Il pittore contadino e i colori del «come eravamo» dimenticato dal Trentino patinato, in esposizione al Palazzo Assessorile di Cles


di Fiorenzo Degasperi


CLES. Il peso della storia dell’uomo non ha soltanto un valore simbolico molto forte. La fatica arcaica e atavica spezza la linea retta-eretta della schiena, costringendo le spalle ad ingobbirsi sotto lo sforzo di un quotidiano vissuto sul filo del rasoio, tra vita e morte. Questo piegarsi verso la terra, come se la figura umana rispondesse ad un forte richiamo della Madre terra, con il sudore, goccia salata della vita, che cade sulla terra fisica, quella coltivata, e su quella spirituale, il sagrato della cappella, non porta con sé la perdita di signorilità. Tutt’altro. L’esser signori non ha niente a che spartire con l’andar eretti, con il portar la cravatta o l’abito firmato. La signorilità, quella vera, genuina, spontanea, la si legge negli occhi scavati dalla fatica, negli sguardi attenti e pieni di vita, nelle vene turgide che diventano rami lungo le braccia e le gambe, nei capelli che diventano peli e viceversa, come se l’homo selvadego, inventore del caglio, del burro, formaggio e ricotta, si fosse nascosto nelle profondità dell’anima umana per sfuggire alle maledizioni del moderno.

E’ questo un popolo che sempre più difficilmente incontriamo nelle nostre terre trentine, diventate sempre più falsamente patinate. Per ricordare come “eravamo” rimangono le vecchie storie raccontate oralmente nelle gelide serate invernali. Oppure bisogna intraprendere un viaggio attraverso i colori di Carlo Sartori, il pittore contadino, pastore, imbianchino, spiritualmente realista. E per rimanere in tema di dignità e signorilità non bisogna dimenticare che l’artista Carlo Sartori, nato a Ranzo, un tempo villaggio solitario sorto sulle balze del Monte Gaza, il paese dove c’erano più capre che umani, nel 1943 si rifiutò di combattere a fianco dei tedeschi nelle brigate fasciste e per questo venne internato nel campo di concentramento di Krems, Austria, per poi essere spostato in altri campi.

Così nel 1959, data della sua prima partecipazione ad una collettiva presso il Circolo della Stampa di Bolzano, il nostro uomo della terra inizia un suo percorso personale all’interno del mondo dell’arte che lo porterà ad indagare, attraverso le forme e il colore, il suo mondo che non ha mai abbandonato. Un mondo, quello contadino, penetrato a fondo nell’anima e nel cuore, modificando il suo fisico, costringendo lo sguardo a vedere l’uomo e il Divino come un’unità, uno il proseguimento dell’altro.

Sacro e profano si mescolano, si coagulano attorno al colore rosso sangue – del vino, dell’eucarestia, del sacrificio –, al giallo solare della vita, della rigenerazione, della terra arsa, al nero (assai raro) delle ombre, del fondo delle cantine, degli angoli delle cappelle, dei rimorsi quotidiani per non aver portato a casa abbastanza pane da soddisfare la fame atavica dei propri familiari. L’altrettanto raro color verde si affaccia nel fieno appena tagliato, speranza ultima di sopravvivenza, dura a morire finché gli occhi, alzandosi dalla terra, puliti dal sudore, incontrano lo sguardo di Cristo e dei Santi che lo proteggono. Stesso sguardo, stessa intensità, stessa volontà di andare avanti. E’ un sacro, quello di Carlo Sartori, forte, sanguigno, naturale, antico. I suoi santi, i suoi Cristi dipinti hanno la stessa forza spontanea e antropologica delle sculture “naif” asimettriche delle pievi toscane. Non c’è arroganza in queste opere, soltanto muta testimonianza che nasce dalle viscere, dal sangue dei sanguinacci, dall’odore della carne di lucanica stesa sul tavolo, dall’odore rancido e forte del vino che avvolge le cantine. La sua non è una pittura naif, per niente. E’ puro espressionismo, è il sangue che ribolle in profondità come lava, come mosto. E’ talmente natura fisica e spirituale che ogni opera è un canto all’antinatura.

(La mostra antologica di Carlo Sartori - curata da Camillo Fedrizzi e Nicoletta Tamanini - ha aperto i battenti nelle sale del Palazzo Assessorile di Cles. Chiude il 29 settembre - info 0463.662091)













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