Settimana corta: 3 scuole su 5 dicono no

Contrarie Buonarroti, Galilei e da Vinci, favorevoli Prati e Scholl (dove già c’è). I dubbi: «Poco tempo per approfondire»


di Luca Marognoli


TRENTO. A favore liceo classico Prati e linguistico Sophie Scholl (l’unico che ha già introdotto il nuovo regime), contrari Iti Buonarroti e licei scientifici Galilei e Da Vinci. La settimana corta propugnata dal presidente Ugo Rossi, che vorrebbe introdurla dal 2016-2017, viene bocciata da tre istituti cittadini su cinque.

Al Galilei l’ipotesi è stata scartata dal collegio docenti, lo scorso anno. «Dal punto di vista organizzativo vorrebbe dire fare ogni mattina sei ore e un rientro pomeridiano: questo per garantire le 32 ore settimanali», spiga il preside Flavio Dalvit. A determinare la decisione però sono state ragioni di altra natura: «La modalità liceale dell'approccio alla didattica ne risentirebbe, mancando l'approfondimento critico personale che ne è tipico». Un altro problema riguarda la mensa: «Bisognerebbe trovare gli spazi per 500 studenti (su 800) che si fermano il pomeriggio». Dalvit aveva proposto un rientro per tutti il venerdì pomeriggio, «quando non ci sarebbe la necessità di prepararsi per il sabato. Questo però complicherebbe la situazione per le mense, che sarebbero sovraccaricate per un giorno in settimana».

Tra gli elementi a favore della chiusura «le esigenze di una parte delle famiglie, perché i figli sono impegnati in attività sportive, e il risparmio di riscaldamento e consumi elettrici».

Maria Pezzo, del liceo Prati, ha un’opinione diversa. «Fa già i cinque giorni una delle nostre quarte ginnasio: lavora molto bene e i ragazzi e le famiglie sono molto contenti», premette. Poi spiega: «Nel resto d'Europa tutte le scuole hanno la settimana corta, come pure gli istituti di Germania, Austria, Australia e Cile che sono gemellati con noi. I vantaggi? Sono legati al fatto che in due giorni si possono approfondire gli argomenti della settimana con più tempo e dedicarsi poi ad attività di completamento del curriculum scolastico: penso agli studenti atleti che nel fine settimana gareggiano o a studenti del conservatorio che fanno concerti». Quanto alla didattica, verrebbe ad essere «più innovativa, meno frontale e più partecipata, con un lavoro più proficuo in aula». Le famiglie premono per un allargamento dell’esperienza ad altre classi.

Come al liceo linguistico Sophie Magdalena Scholl, dove la settimana corta è già una realtà. «L’abbiamo istituita da quest'anno, con un solo rientro pomeridiano, variabile a seconda delle classi», dice il preside Mario Turri. Una scelta «nata da esigenze di razionalizzazione dei costi e di turnazione del personale, con una maggiore copertura di quello ausiliario ai piani e negli uffici». Una parte di classi, quelle che provenivano dal Rosmini, già facevano i 5 giorni, quelle del da Vinci 6, ma si sono adeguate «dopo un sondaggio andato in pari e la decisione del consiglio di istituto». Turri non vede svantaggi: «Per noi, che abbiano solo 32 ore, va bene così. Il disagio è di un giorno solo e interessa pochi trasportati, che vanno alla mensa dell'Arcivescovile o prendono la pizza al taglio».

L’avere un monte di 35 ore settimanali rende invece tutto più difficile all'Iti Buonarroti. Ma c’è un secondo motivo che spinge il preside Paolo Dalvit a schierarsi per il mantenimento dei sei giorni: «la metà della nostra utenza è pendolare e il doversi fermare due pomeriggi, forse anche a tre, non è confacente alla gestione della giornata di studio. I ragazzi devono avere l'opportunità di dedicarsi allo studio e all'approfondimento personali e individualizzati. Il sabato non credo che si organizzerebbero per studiare: il fine settimana si tradurrebbe in attività altre». Unico “pro” il risparmio economico, «che può incidere in maniera non secondaria di questi tempi».

Alberto Tomasi, del Da Vinci, ha fatto scegliere alle famiglie: «Noi l'anno scorso, sollecitati dai genitori che iscrivevano i figli alle prime, abbiamo fatto un sondaggio: il 55-57% dei nuovi iscritti era favorevole ai 5 giorni, mentre gli studenti già presenti avevano scelto di continuare a venire tutti i giorni e di non avere un ritorno pomeridiano, con percentuali sopra il 60%. Preferiscono gestirsi autonomamente i pomeriggi liberi, anche per attività alternative legate alle loro passioni, e non ritengono un vantaggio il poter restare a casa il sabato. Alcuni scherzando dicono: dormirei tutta la mattina e non lo userei per studiare».

Ma il dirigente non vede problemi ostativi al passaggio a un nuovo regime: «Penso che si possa fare in maniera ragionata e indolore: in base a delle simulazioni, ci sarebbero 5 giorni di 6 ore e 2 lezioni pomeridiane. Anche per i docenti sarebbe sostenibile e starebbe alla loro responsabilità il dare senso a quello che si fa, evitando una concentrazione di materie particolarmente complesse. Per il 2016 ci si può dunque pensare e prepararsi in maniera adeguata. Di sicuro risparmieremmo qualche bel migliaio di euro in riscaldamento ed elettricità: un elemento secondario, ma che può avere il suo peso».













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