Schelfi ha deciso: si ricandiderà

Il presidente di Federcoop pronto al quarto mandato. Da oggi tocca ai saggi


Roberto Colletti


TRENTO. C'è solamente la liturgia da rispettare, la decisione è già stata presa. Diego Schelfi nell'assemblea del prossimo 15 giugno si candiderà per la quarta volta alla presidenza della Cooperazione. In deroga al limite dei tre mandati e con l'idea di dimettersi prima della scadenza triennale. Se ancora non lo dice è per rispetto delle procedure e, forse, per non sembrare troppo spiccio: già il quarto mandato è uno strappo al tetto che lui stesso aveva voluto.

«Nove anni sono sufficienti. E' una regola in cui credo ancora». Di più sulla questione Schelfi non vuole dire. Ma quell'«ancora» malandrino, che gli è scappato (forse) senza volere, è la conferma di ciò che tutti sanno: all'assemblea del 15 giugno la sua candidatura ci sarà.

La procedura per attivare la deroga al tetto dei tre mandati inizierà quest'oggi con il comitato dei saggi che sintetizzerà gli orientamenti delle cooperative ed i nomi dei candidati emersi nelle dieci riunioni di zona. Pretendenti alla carica ce ne sono stati (anche troppi, dunque nessuno), ma di fatto la discussione si è concentrata sull'opportunità della deroga, in altre parole sulla candidatura di Schelfi. Con il risultato che l'idea di un suo quarto mandato, accolta da alcuni con favore, da altri come necessità, è stata quella largamente maggioritaria.

Del resto quest'eccezione ha avuto anche la professorale benedizione di Stefano Zamagni con l'argomento che in una fase d'emergenza come quella che affligge l'Italia e la Cooperazione, "non si cambia comandante" e che, perciò, Schelfi può restare, magari non proprio per l'intero mandato, ma dimettendosi un po' prima, giusto per mostrare che il suo è spirito di servizio e non attaccamento alla poltrona. Se poi ciò consentirà a Via Segantini di trovare un candidato alla successione "vero" ed a Schelfi, ancora ben saldo sulla poltrona, di lasciare la presidenza per correre per Piazza Dante nel 2103, beh, avrà preso i proverbiali due piccioni con una fava. Meglio di così non poteva studiarla.

Dicevamo della liturgia. Macchinosa come tutte le procedure cooperative: oggi prima sintesi del comitato dei saggi, il 5 marzo comitato esecutivo della Federazione, poi a Riva l'intermezzo dell' 8 e 9 marzo per le celebrazioni dell' Anno Internazionale della Cooperazione, infine il 12 marzo l'epifania: il consiglio d'amministrazione di Via Segantini ascolterà la relazione dei saggi e chiederà a Schelfi - praticamemte candidato unico - se intende utilizzare la deroga ai mandati, così come previsto dallo statuto. Se la risposta sarà positiva - ma non ci sono dubbi: Schelfi non ha certo la complessione fragile ed impressionabile di un Celestino V - via libera alla corsa solitaria verso l'assemblea che a maggioranza qualificata (51% degli aventi diritto) voterà deroga e presidente. Se ci saranno altri candidati, onore a loro: si presenteranno solamente per sincero spirito sportivo e di testimonianza.

Questa la sceneggiatura. Poi ci sono i problemi seri. La cooperazione trentina è una macchina economicamente robusta, socialmente diffusa e, in senso ampio, politicamente significativa. Il tetto dei mandati voluto da Schelfi era (è) il tentativo di sollecitare in questo corpo il cambiamento e l'assunzione di responsabilità. Cosa non facile, trattandosi di una realtà economica e culturale fatta di 500 cooperative, tutte autonome con propri organi dirigenti, diffuse in aree sia ricche, sia marginali. Che debbono convivere e collaborare con potenti società e consorzi - Cassa Centrale, Sait, Cavit, Concast, Allevatori... - che ne gestiscono in buona parte la forza economica. A coordinare e rappresentare questa complessità la Federazione, centro di servizi e luogo di elaborazione e rappresentanza politica, a cui si accede attraverso un percorso complicato, fatto di selezione democratica e di cooptazione.

Per emergere bisogna entrare nello "spirito" di gruppo e guadagnarsi il consenso. Forse è una delle ragioni per cui, una volta al vertice, la tendenza è di restarci, anche se non tutti possono vantare i record di Silvano Rauzi, da 33 anni presidente degli allevatori, o di Fiorini e Senesi per 18 anni a capo rispettivamente di Sait e Cassa Centrale, o di Pierluigi Angeli per 12 anni alla guida della Federazione. Insomma, qui non c'è spazio per primarie a sorpresa o "papi stranieri". Può essere un limite, ma non è detto.

Schelfi, che rischia di eguagliare Angeli, ha tentato di diluire almeno un po' questa vischiosità, ma non è stato aiutato dalle circostanze. Aveva favorito una possibile successione con Giorgio Fracalossi, ma l'interessato ha declinato la designazione; un secondo candidato, Renato Dalpalù - che invece mostra grinta e di non disdegnare ambiziose opportunità - deve almeno concludere, il prossimo anno, il suo primo mandato al vertice Sait. Poi ci sono personalità in formazione come Sandro Pancher, Marina Mattarei, Michele Odorizzi... ma ci vuole tempo. In realtà entro l'orizzonte scrutabile per ora c'è Dalpalù. La sua presidenza scadrà il prossimo anno e sempre il prossimo anno Schelfi, dopo un mandato breve, potrebbe decidere di lasciare Via Segantini per altre sponde. Fantacooperazione. Forse. Intanto si procede con la quarta rielezione. Poi si vedrà.













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