«Qui la polizia spara ad altezza d’uomo»

Christian Degasperi, da anni in Colombia, coinvolto nei disordini nella capitale Bogotà: «Mai visto niente del genere»


di Francesca Caprini


TRENTO. «La polizia sparava candelotti di gas ad altezza uomo, la gente correva come impazzita inseguita dalle motociclette dell’Esmad. I colombiani sono abituati a convivere con la violenza, ma queste giornate sono sembrate allucinanti». Christian Degasperi è trentino ma da anni vive in Colombia. Pochi giorni fa si è trovato in mezzo agli scontri dovuti alle manifestazioni in sostegno dei contadini che dal 18 agosto scorso portano avanti uno sciopero senza precedenti contro le restrizioni imposte dal Trattato di Libero Commercio (Tlc), siglato con gli Stati Uniti. La risposta del governo del presidente Manuel Santos è stata dura: ad oggi le organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato 660 casi di violazione dei diritti umani, 485 feriti, 12 contadini uccisi e 262 arresti arbitrari. Ci sono dispersi e almeno una dozzina di giornalisti brutalmente picchiati. Amnesty Internacional, insieme all’alto Commissariato per i diritti umani dell’Onu hanno espresso preoccupazione. L’attivista indiana Vandana Shiva ha mandato un comunicato di appoggio alle lotte contadine.

Christian conosce bene questo Paese, dove ha deciso di vivere dopo aver girato mezzo mondo con il suo lavoro nella cooperazione internazionale. Con la compagna Catalina ed i due cani, Airu e Pina, ha deciso di stabilirsi a Bogotà, nel quartiere della Candelaria, uno dei più turistici: casette colorate in stile coloniale che si arrampicano verso la cordigliera andina che circonda la città. «Fra le cose da non perdere in Colombia, gustatevi un caffè alla Candelaria», si legge sulla guida Lonely Planet. Giovedì scorso anche la Candelaria si è trasformata in un teatro di guerriglia urbana, i turisti costretti a rifugiarsi negli hotel, i poliziotti antisommossa – Esmad è l’acronimo di Escuadrón Móvil Antidisturbios – che sparavano i gas lacrimogeni anche nelle hall. Il Tlc , l’accordo commerciale bilaterale che gli Stati Uniti hanno firmato per l’apertura di nuovi canali di scambio di beni e servizi, di fatto ha reso ancora più difficili le condizioni degli agricoltori colombiani, strozzati dalle imposizioni che li obbligano a comprare semi transgenici e fertilizzanti dagli Stati Uniti: una condizione che li rende dipendenti da prestiti finanziari a tassi insostenibili e che rende i loro terreni inutilizzabili dopo un solo raccolto.

Le manifestazioni sono partite in maniera pacifica, ma la mano dura dello stato colombiano ha portato diversi settori ad esprimere il loro appoggio politico. Anche la capitale Bogotà si è mostrata solidale: ogni giorno studenti, lavoratori, cittadini hanno cominciato a darsi appuntamento nella centrale Piazza Bolivar. «Giovedì siamo andati anche io e Catalina. La gente porta padelle e stoviglie da battere per terra e marcia. Ogni giorno sempre più gente. Ma anche più polizia. Verso le 13 è partita la carica ed i primi scontri. Erano fresche le immagini che avevano mostrato - non certo nelle televisioni ufficiali - la polizia nelle che sparava gas lacrimogeni dentro le abitazioni contadine. L’indignazione è stata forte, quel giorno la marcia soprattutto di studenti, non ne voleva sapere di lasciare la piazza. Allora sono arrivate le moto: in quaranta, forse cinquanta, ogni mezzo con due poliziotti, il primo che guidava il secondo che sparava i gas e picchiava la gente con i manganelli, una cosa da nazisti. Un ragazzo è stato massacrato di botte sotto i nostri occhi, abbiamo cominciato a scappare ma in ogni strada una fiumana di gente ci veniva contro, una situazione disumana». Christian si dice ancora sotto shock: «La sera siamo usciti e l’immagine della città era surreale. In ogni via plotoni di militari, nessuno in giro e l’odore dei gas ancora forte. Le scuole sono rimaste chiuse una settimana. Sappiamo che fra i manifestanti c’erano infiltrati, gente che viene pagata 10 o 20 mila pesos per creare problemi. Nelle periferie i poliziotti hanno sparato proiettili veri, due persone sono state ammazzate».

Il 6 ottobre una carovana politica di solidarietà, promossa anche dall’associazione Yaku partirà per la Colombia. Vi parteciperanno anche alcuni trentini, oltre giornalisti, avvocati ed esponenti di organizzazioni umanitarie italiane ed internazionali. Il 2 ottobre a Trento un’assemblea ospiterà anche l’antropologo e difensore per i diritti umani colombiano Santiago Mera che vuole denunciare quello che sta accadendo al suo paese: «Quello che sta succedendo in Colombia è la faccia dura del sistema economico neoliberista - spiega Mera - che promuove politiche contro la vita, obbliga poveri e contadini allo sfollamento e alla povertà». Per informazioni sulla serata: www.yaku.eu.













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