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Quaranta Comuni hanno detto stop agli orsi

I territori si stanno schierando in massa aderendo alla proposta del Consiglio delle autonomie locali: "La sicurezza di chi vive la montagna deve essere la priorità"


Luca Marsilli


TRENTO. Forse era prevedibile, ma la risposta dei singoli Comuni trentini alla proposta lanciata dal Consiglio delle autonomie locali sta assumendo le dimensioni di un plebiscito. E in un momento storico in cui tutti si sentono in diritto di parlare a nome “della gente”, si avvia a diventare la prima effettiva espressione del territorio trentino sul tema dei grandi carnivori. E una indicazione difficile da ignorare per chi governa e governerà il Trentino: “la gente” non è in astratto contraria alla sopravvivenza di orsi e lupi, ma chiede che si ritorni alla ragionevolezza. Ovvero che si trovino i modi e le misure per cui specie un tempo sulla soglia dell’estinzione ma oggi più numerose che mai, possano coesistere con l’irrinunciabile diritto anche delle persone di frequentare le montagne trentine. E di lavorare all’aperto, come hanno sempre fatto, fra l’altro mantenendo la cura di un territorio che non può essere lasciato a se stesso. Quindi benissimo tutelare come specie sia l’orso che il lupo, ma senza dimenticare che la sicurezza di chi vive la montagna, per nascita, per scelta o per necessità, deve venire prima di qualsiasi ideologia. Oggi, è la convinzione dei sindaci del Trentino e che decine di consigli comunali stanno avvalorando con discussioni e voti unanimi, non è così.

Sbagliate tutte le previsioni

Nessuna delle previsioni del progetto di reintroduzione dell’orso in Trentino si è rivelata azzeccata. Quando nel 1999, preso atto che ormai gli orsi in Trentino erano solo 3 e tutti troppo vecchi per riprodursi, si diede corpo al progetto di reintroduzione importando 9 animali (sei femmine e tre maschi) lo si fece sulla base di studi che ipotizzavano come obiettivo il raggiungimento di una popolazione di 40/60 orsi (il minimo per l’autosostentamento della specie). I plantigradi si sarebbero dispersi su un territorio tra i 1.350 e i 3.000 chilometri quadrati, ripopolando le alpi orientali e centrali: Trentino, Alto Adige, Veneto e Lombardia. Tanto che il sondaggio Doxa commissionato per tastare l’opinione pubblica (unica forma di consultazione adottata) si svolse telefonicamente raggiungendo 1.512 persone nelle provincie di Trento, Bolzano, Brescia, Verona e Sondrio. L’esito era stato positivo. Ma allora nessuno aveva idea di cosa significasse avere gli orsi sotto casa. E soprattutto, oggi gli orsi sono più di 100 (saranno 125, si stima, nel 2025 e contando solo gli adulti) e sono concentrati in massima parte nel solo Trentino Orientale. Qualche centinaio di chilometri quadrati, non i 3.000 che si immaginavano, e per il doppio degli animali.

Quindici orsi problematici

Alla luce di questo e dopo che 15 animali hanno avuto comportamenti tali da farli inquadrare come pericolosi (6 hanno aggredito persone, 9 hanno manifestato confidenza eccessiva) si può dire che le premesse non erano corrette? E che rivedere i principi di gestione figli degli studi di allora non deve essere un tabù? Questo chiedono, aderendo all’iniziativa del Cal, i Comuni del Trentino. «Trentacinque hanno già notificato le loro delibere al Consorzio - dice il presidente Paride Gianmoena - ma so di parecchi altri che hanno già deliberato ma non ci hanno spedito nulla. Come so che molti hanno il punto all’ordine del giorno dei loro consigli comunali per luglio. Ma penso di non sbagliare nel dire che la posizione è sostanzialmente la stessa in tutto il Trentino. È venuta meno la sicurezza delle persone e questo non possiamo accettarlo. Né moralmente né come amministratori del territorio, perché se la gente abbandona la montagna, tutto il Trentino come lo conosciamo rischia di sparire. Serve un’analisi seria e scientifica sul numero di orsi e lupi che il nostro territorio può sostenere senza conflitti con la popolazione. Come servono tutte le iniziative che possono ridurre il rischio di attirare gli orsi vicino alle aree abitate e frequentate dagli uomini. Ma si devono trovare anche i modi per ricondurre le loro popolazioni a numeri sostenibili, e poi un monitoraggio costante che le mentenga in quelle dimensioni».

Niente isterie, ma sono troppi

Sono le conclusioni, in sintesi, che chiudono il corposo e documentatissimo atto di indirizzo che i consigli comunali stanno votando in queste settimane. Lo stesso Consiglio delle autonomie lo aveva approvato all’unanimità, 25 sì su 25 presenti, e già questo era dimostrazione di quanto trasversale e determinata sia ormai la convinzione che la situazione è sfuggita di mano a chi la doveva governare. E che senza perdere tempo nel valutare chi e perché abbia sbagliato, la cosa da fare oggi è voltare pagina. Salvando se possile sia orsi e lupi che la vita sulle montagne e nei boschi del Trentino, ma partendo da una base fermamente condivisa: se serviranno interventi per rendere la convivenza possibile, si dovranno adottare. Partendo dalla definizione di un quadro normativo chiaro che riconduca la gestione dei grandi carnivori a criteri tecnici inequivoci. E pronti se fosse inevitabile anche a rivedere la scelta di 20 anni fa: se una convivenza dovesse rivelarsi impossibile, si può anche rimettere in discussione l’opportunità della presenza di lupi e orsi nelle nostre vallate.

 













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