Quando la felicità diventa un incubo tra le mura di casa 

Il caso di una donna vittima del proprio compagno: «Segregata in casa, mi sono salvata grazie ai miei genitori»



Una casa spaziosa con tanta luce. Un giardino, due posti macchina, il garage. Una casa da sogno. A dieci minuti in bicicletta dal lavoro, a quindici minuti in macchina da casa dei suoi. Un lavoro ben retribuito, ma soprattutto che le piaceva molto.

A. si sentiva fortunata, aveva tutto, o quasi, nella propria vita. Le mancava solo un compagno con cui condividere il proprio cammino. Sperava infatti che quella casa così bella un giorno sarebbe potuta diventare il nido per la sua famiglia. In realtà aveva smesso di cercarlo, il grande amore, non ci credeva più. Finché un giorno aveva incontrato lui, a una cena organizzata a casa di amici comuni. Lui, un giovane laureato, trentino come lei, così intrigante e subito complice. Lui che non aveva perso l’occasione per invitarla al cinema la sera successiva e salutarla con un bacio sulla guancia. Lui che una settimana dopo le aveva fatto recapitare 11 rose. Era stato così che in pochi mesi, al culmine di un corteggiamento romantico, si era ritrovata a convivere con quell’uomo, a visitare capitali europee, centri benessere, ad andare a cena in locali eleganti.

All’inizio andava tutto bene. Così bene che A. si sentiva fortunata. Ma poi le cose avevano cominciato a cambiare. A pensarci bene era partito tutto dalla perdita del lavoro. Lui aveva preso l’abitudine di passare le ore a casa, davanti al computer, totalmente impassibile alla vita. Senza stimoli o volontà di cercare qualcosa di nuovo, tanto c’era A. che manteneva entrambi. Ma continuava a volere, anzi pretendere, quel tenore di vita al quale si era abituato.

Poi le prime urla, gli scatti nervosi, il controllo. La seguiva nei suoi spostamenti, la voleva tutta per sé. A. era sua, gli apparteneva, perché doveva lavorare? I soldi facevano comodo, ma le ore passate fuori di casa, lontano da lui, erano un problema. Ogni minuto in più al lavoro diventava fonte di litigio, al punto che la accompagnava, poi la aspettava sotto l’ufficio per riportarla a casa.

Il lavoro, lo stesso che prima era motivo di orgoglio, era diventato la causa di ogni male. I litigi erano sempre più furibondi, erano volate le prime minacce e poi gli insulti. Piano piano A. si era ritrovata sempre più sola, con un uomo che non riconosceva e non amava più, senza amici, isolata dalla famiglia e praticamente segregata in casa. Inghiottire l’orgoglio e tornare dai suoi genitori non è stato facile, per A.

Sono stati loro ad accompagnarla ai servizi antiviolenza del territorio, per capire cosa fare. Perché lui, nel frattempo, si era asserragliato nella casa di Asteria e la minacciava costantemente. È stato solo grazie ai servizi antiviolenza e all’appoggio di un avvocato che è riuscita ad allontanarlo da casa. Oggi lui risulta irreperibile. E ad A. non è bastato cambiare la serratura, ha dovuto vendere la casa. Perché le è rimasta la paura di trovarlo sul vialetto di accesso, sulla porta. Ma soprattutto perché ogni stanza le ricordava quei momenti, quella violenza, quello sguardo senza anima.

Il testo è tratto dal volume “All’inizio andava tutto bene. Storie di donne uscite dalla violenza” pubblicato dalla Provincia di Trento. L’opera - che raccoglie le storie di 11 donne ed è diventata anche un testo teatrale - è stata curata da Arianna Tamburini e Gianna Zortea con la collaborazione dell’Osservatorio sulla violenza di genere. Il volume è disponibile in formato digitale sul sito internet della Provincia.













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