il caso

Prigioniero nella chiesa di San Lorenzo per 6 ore

La disavventura di un dipendente provinciale: il sacrestano lo ha chiuso dentro dopo la messa. Ha suonato campane e organo: inutilmente. Salvato da due tedeschi


di Paolo Mantovan


TRENTO. Prigioniero nella Basilica di San Lorenzo per sei ore. È accaduto domenica. Erano le 12.40 e il dipendente provinciale V.V.(ne abbiamo recuperato solo le iniziali) credeva di rimanere ancora soltanto un minuto per l’ultima preghiera dentro l’Abbazia di San Lorenzo, a Trento, la splendida badia a fianco della stazione delle autocorriere.

V.V. stava guardando, anche un po’ rapito per la verità, la statua bronzea con quella classica espressione mesta e malinconica di Padre Pio, quando ha sentito il rimbombo di quel rumore secco dei giri di chiavistello al portone. Si è voltato di scatto, ha urlato “hei ferma”, ha portato le mani alle tasche e si è ricordato in quell’istante che non aveva con sé il cellulare. Ed è lì che si è sentito perduto. Il cellulare - ha giurato V.V, raccontando poi l’accaduto ai familiari - lo porta sempre con sé ma questa volta l’aveva lasciato ben nascosto su un sedile dell’auto parcheggiata, per non rischiare che la suoneria si mettesse a squillare nel bel mezzo della messa. Ovviamente V.V. dopo aver frugato nelle tasche alla ricerca del cellulare, è andato di corsa alla porta, ha battuto i pugni, ha urlato ancora, ma era tutto inutile. Ha cercato una qualsiasi altra uscita e ha trovato solo dei muri insormontabili. Ha gridato ancora: “aprite!”. Ma ha sentito solo il suo tono implorante che lo sorprendeva e lo faceva già sentire sempre più debole e indifeso.

E qui è iniziato il dramma che è stato anche per il dipendente provinciale una nuova e inattesa esperienza con sé stesso. Prima ha iniziato a pensare ai familiari che non sapevano per nulla che lui potesse essere lì. Se n’era andato di casa dicendo: “vado a messa a Pergine” e poi s’era trovato in ritardo e aveva preferito lanciarsi giù a Trento, cercando proprio la bella Abbazia. Che ora non gli sembrava più bella, ma una vera e propria prigione.

A quel punto le ha provate tutte. Ha dato colpi al battacchio della campana, che però non sortivano alcun effetto. S’è messo con l’orecchio a vegliare attendendo l’arrivo di qualcuno per urlare. Si è improvvisato suonatore d’organo (mai suonato uno strumento in vita sua) nella speranza che qualcuno chiamasse i carabinieri o la polizia perché c’era un matto che suonava in chiesa. Niente.

Si sono avvicinati due clochard. E lui, ricco di speranza, si è tuffato alla porta. Chiedendo pietà, che andassero a chiamare il sacrestano. Ma i due senzatetto, sentendo la presenza d’un «estraneo» se ne sono andati senza lasciare tracce.

Poi, dopo quasi sei ore, quando ormai temeva di dover passare anche la notte là dentro (una chiesa che stava diventando un inferno, dove il calore sembrava di fiamme, dove non sapeva più come fare in caso di impellenti necessità, dove neppure padre Pio pareva più avere benevolenza, e crescendo nel frattempo il timore per i familiari che l’attendevano a pranzo), finalmente sono arrivati lì due turisti germanici. Hanno sentito V.V. battere al portone, hanno provato a dialogare in tedesco e hanno chiamato la polizia. V.V. era salvo. Ora starà più attento quando prega.













Scuola & Ricerca

In primo piano