Per favore, non uccidete l’alpinismo

Il gotha dell’arrampicata mondiale da Messner per discutere del futuro


di Maddalena Di Tolla


CASTEL FIRMIANO. Quo climbis? Perché, per cosa, e con quali obiettivi si arrampica oggi, nelle Alpi e nei grandi scenari extraeuropei? Gli spazi di Castel Firmiano si sono riempiti di grandi alpinisti, di giornalisti e di appassionati, che ne hanno discusso, il giorno dopo la fine del TrentoFilmFestival. A moderare e fare da padrone di casa era Reinhold Messner, che ha riunito con questa iniziativa il Festival (e quindi anche il mondo del CAI), il suo Messner Mountain Museum e l'IMS di Bressanone. Lo scopo dichiarato del forum era “discutendo, provare a salvare l'alpinismo”. Salvarlo dall'eccesso di corse al record, dai vincoli che si profilano all'orizzonte in una società che non riconosce più facilmente il diritto al rischio e anche dalla malattia della banalizzazione, da quell' “assassinio dell'impossibile” di cui Messner scriveva già negli anni sessanta. Si sono quindi avventurarti nel cercare di spiegare le loro ragioni di ascesa sei protagonisti molto noti, la guida alpina e forte cacciatore di nuove vie, il valdostano Hervé Barmasse, il forte scalatore di ottomila kazako Denis Urubko, e poi due glorie del passato come Heinz Mariacher e Albert Prechtl, e quindi ancora i giovani Hans Peter Peter Eisenendle, italiano, e lo svizzero Roger Schäli.

Il filo conduttore, come voleva Messner, sono stati i valori fondanti dell'arrampicare e l'idea che la wilderness è lo spazio di gioco della fantasia e degli scalatori e bisogna tutelarla, da eccessi di normazione, da vincoli restritivi e anche da sfregi ambientali quanto da quelli commessi dagli stessi scalatori, che lasciano sulle vie salite chiodi fissi e altre amenità.

Si è più volte invocata quindi la profonda, marcata differenza fra il turismo e l'avventura. Turismo – ha avanzato Messner, con la generale approvazione- significa muoversi per divertirsi in uno spazio allestito, strutturato e infrastrutturato, dove le leggi vincolano i gestori a precise responsabilità. Invece l'avventura, lo spazio dove si profila l'alpinismo, è il regno della libertà e quindi della responsabilità individuale. Hervé Barmasse, classe 1977, ha aggiunto a questa visione generale centrata sui valori, sulla libertà e sull'individualismo responsabile, la sua visione, che lo ha spinto, come noto, a cercare e aprire nuove vie sulla montagna di casa, il Cervino, come sul Monte Bianco e sul Monte Rosa, non dopo aver soddisfatto la voglia di ascese impegnative al'estero. Barmasse propone allora un'idea di avventura pura, che è un arte, l'arte della sopravvivenza e della ricerca. Per dire, lui ha salito nel 2011 una nuova via sul Cervino, laddove nessuno avrebbe potuto salvarlo, laddove l'elicottero non avrebbe potuto intervenire.Plauso di Messner, palesemente attratto da questo giovane intreprete della nuova stagione.

Gli ha fatto eco il fortissimo Denis Urubko, che ha paragonato l'opera dell'alpinista a quella del pittore, che disegna forme e linee, ispirato dalla propria libertà. E di quell'arte, però, ha ammonito Messner, bisogna avare massimo rispetto e quindi non si devono toccare le vie storiche, bisogna lasciare le linee disegnate dagli artisti dell'ascesa originari come sono e bisogna lasciare intatta – ha aggiunto - la wilderness in quota, (sopra i 2500 metri nelle Alpi e sopra i 5000 metri in Himalaya, per lui). Insomma, i relatori e il pubblico, che ha preso mano a mano la parola, condividono l'idea che la montagna non è per tutti, perlomeno sopra una certa quota. Barmasse ha aggiunto che l'idea di eliminare l'impossibile ha fatto e fa dei danni alla montagna e all'uomo, perché credere che tutto sia per tutti induce in errore.

Ne è uscito insomma un quadro di un alpinismo attento a valorizzare le competenze e la responsabilità, a difesa di uno spazio di libertà per le future generazioni.

Unico neo: nessuna traduzione in sala. Chi non capiva il tedesco si è perso qualcosa.













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