Pecore morte buttate nel bosco

La macabra scoperta l'ha fatta ieri mattina il climber Massimo Faletti


Luca Pianesi


POVO. Una ventina di pecore morte, chiuse in sacchi di plastica nera. Questo è lo spettacolo di fronte al quale si è trovato ieri mattina Massimo Faletti, esperto climber e guida alpina di Povo, all'altezza della falesia «dei forti», sotto la strada che collega Cognola a Civezzano. «Stavo andando a chiodare la parete - dichiara Massimo - quando ho visto questi sacchi ed ho pensato fossero la solita immondizia. La zona, infatti, da tempo viene utilizzata da concittadini incivili, come discarica a cielo aperto. Noi scalatori lottiamo per tenerla pulita e più volte abbiamo chiesto all'amministrazione di tutelarla e monitorarla. Invece quotidianamente vi troviamo nuovi rifiuti e direi che ieri abbiamo davvero passato il segno».

Ed effettivamente lo spettacolo è raccapricciante: la puzza di carogna si avverte a distanza ed avvicinandosi alle carcasse si viene assaliti dalle mosche che, evidentemente, banchettano da giorni indisturbate. Alcuni sacchi sono ancora chiusi, altri si sono squarciati, probabilmente per l'impatto con gli arbusti contro i quali sono andati a sbattere dopo essere stati lanciati dal bordo della strada. E dalle spaccature della plastica penzolano, macabre, zampe e pelli di animale, che l'azienda forestale ha successivamente identificato come pecore.

Immediatamente sono stati avvertiti i vigili, ma le ragioni di un tale orribile gesto non sono ancora note. Le modalità, però, ricordano da vicino quelle già viste in altre regioni per sbarazzarsi di capi avvelenati. Ad Acerra, in provincia di Napoli, ci si libera così delle pecore che muoiono intossicate dalla diossina e dai veleni contenuti nell'erba contaminata. Si attendono le analisi e i controlli delle autorità preposte. Certamente la zona dovrà essere meglio presidiata dall'amministrazione e andrà ripulita e riqualificata. «Siamo stufi di vedere spesi i nostri soldi in grandi opere e in progetti improbabili - conclude Massimo Faletti - invece chiediamo che venga preservato il territorio. La nostra parta la stiamo facendo».













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