«Lasciamo fare alla Natura, i nostri boschi ricresceranno» 

L’intervista. Marcello Mazzucchi (già direttore delle foreste di Fiemme) invita a non avere fretta: «Ricordiamoci che la foresta di Stradivari è figlia di una selezione naturale durata millenni» E gli alberi schiantati nelle zone più impervie? «Restino dove sono, serviranno contro le valanghe»


Andrea Selva


Trento. Per anni ci ha sorpreso raccontandoci - con numeri ed esempi suggestivi - quanto può crescere velocemente il bosco. e ora che la natura quel bosco l’ha schiantato a terra in poche ore marcello mazzucchi, già direttore delle foreste della valle di fiemme, invita a non perdere la fiducia: «lasciate fare alla natura».

Mazzucchi, prima i numeri.

Ogni minuto il bosco si allarga di tre metri quadrati. E parlo solo della valle di Fiemme.

Però il 29 ottobre del 2018 il Trentino perse 20 mila ettari di bosco in poche ore. Come la mettiamo?

Il bosco può perdere una battaglia, ma non perde mai la guerra. Ricordiamoci che il paesaggio naturale è fatto di foreste, dove non c’è il bosco significa che è intervenuto l’uomo. Dove il bosco se n’è andato, il bosco ritorna. Gli alberi sono i prediletti di Madre Natura che ci sorprende per la sua capacità distruttrice, ma anche per la capacità di ripresa: dove c’è una ferita lei manda gli alberi a ricucirla.

Ora ferite sulle Dolomiti ce ne sono tante. Lasciamo fare alla Natura?

La soluzione non è tutto o niente: ogni intervento deve essere mirato per le singole zone, per le funzioni che ha il bosco in quella zona e per le caratteristiche dei luoghi. Mi faccia aggiungere un altro dato: su ogni pianta di abete ci sono almeno 100 pigne, ognuna con circa 200 semi, in tutto fanno 20 mila semi per ogni albero caduto, ognuno con una piccola ala per volare nell’aria. Sarà il vento (questa volta amico) a spargere i semi.

Solo che ci vorrà molta pazienza...

La fretta è cattiva consigliera, un bosco cresciuto naturalmente ha un valore maggiore sotto ogni aspetto. Ricordiamoci che la foresta di Stradivari è figlia di una selezione naturale durata millenni. Non si fanno violini con gli alberi piantati.

La Natura quindi non va aiutata?

Non ho detto questo. Possiamo darle una mano portando una specie poco rappresentata e che in questa fase può essere molto utile, cioè il larice. Si tratta del pioniere delle foreste che ama la luce e il sole, colonizza i pendii esposti e poi lascia il posto all’abete. E non dimentichiamo che il larice - oltre ad essere molto bello - non teme il vento perché ha un fusto flessibile e radici fittonanti, che scendono in profondità: il larice crolla solo quando gli arrivano addosso altre piante. Se il bosco è una casa, i larici sono i muri maestri, se la foresta è un esercito il larice è un avamposto. Una pianta purtroppo passeggera (che poi cede il passo agli abeti) ma che in questa fase può essere molto utile.

Privilegiare larici. C’è altro da fare per aiutare la Natura?

Attenzione, in situazioni particolari si possono piantare anche gli abeti ma non in situazioni generalizzate, per non aggiungere danno al danno: perché ogni piantina da rimboschimento costa molto (5-6 euro dal seme al trapianto nel bosco) ma vale poco.

Perché vale poco?

Perché in questo modo perdiamo il patrimonio genetico autoctono, cioè la selezione che la Natura ha effettuato con tempi lunghissimi in una determinata zona. Non dico di non fare nulla ma lasciamo il timone alla Natura. Quando ero un giovane forestale non vedevo l’ora - di fronte a un evento eccezionale, di cui abbiamo avuto esempi anche in passato - di piantare piante. Poi - guardandomi indietro - mi sono reso conto che dove non eravamo intervenuti il bosco era cresciuto lo stesso. Basta non avere fretta.

E sui versanti dove sono ancora a terra migliaia di alberi ?

Non dico ovunque, ma sui versanti più impervi dove è difficile e molto costoso intervenire, gli alberi hanno un valore economico praticamente inesistente ma sono una ricchezza per il terreno e costituiscono comunque una protezione dalle valanghe: in questi casi possiamo lasciarli a terra. Mi piace pensare che quel giorno gli alberi ci abbiano difesi fino all’ultimo, sono stati l’ultimo baluardo contro il vento e si siano infine immolati quando il terreno era pieno d’acqua come mai prima.

E il panorama?

Bisognerà spiegare le cose alle persone parlando alla testa in modo che anche l’occhio capisca.

E i parassiti?

Abbiamo sempre avuto paura del bostrico, ma stiamo attenti a non enfatizzare: quest’estate, ad esempio, non c’è stato alcun disastro.

È d’accordo sulla richiesta della Magnifica Comunità di cominciare a tagliare anche gli alberi rimasti in piedi?

Certo, Vaia ha colpito a macchia di leopardo. Non serve impedire i tagli dove il bosco è rimasto intatto.

Che cosa l’ha sorpresa di quella notte?

L’ampiezza (mai vista) del disastro e il fatto che sotto gli alberi non abbiamo trovato animali morti: si erano messi al sicuro e questa è una cosa bellissima.















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