L'allarme dei commercianti: «L’Iva al 22% è la mazzata finale»

Lombardini (Confesercenti) e Piffer (Unione commercio): scelta sbagliata, ricadrà sui meno abbienti. Lo studio: il rincaro peserà tra i 61 e i 120 euro al mese per le famiglie composte da quattro persone


di Giuliano Lott


TRENTO. A meno di un intervento del governo Letta, che appare sempre più improbabile ad ogni giorno che passa, dal primo luglio l’Iva su molti prodotti al consumo passerà dal 21% al 22%. L’effetto del secondo step di aumento dell’imposta sul valore aggiunto, secondo le proiezioni della Cgia di Mestre, sarà devastante sul nostro sistema economico e peserà in particolare sulle famiglie: costerà, in termini di spesa, dai 61 ai 120 euro al mese sui nuclei composti da quattro persone (padre, madre e due figli). Loris Lombardini, presidente di Confesercenti, rincara la dose: «Le aspettative sono più pessimistiche rispetto al passaggio dell’Iva dal 20% al 21%, e lo si può prevedere con assoluta certezza perché da un anno a questa parte non si è visto il benché minimo segno di ripresa. Questo aumento significa colpire con un machete la nuca delle persone. Ci potrebbe stare, se ci fossero segnali, anche timidi, di una ripresa dei consumi, ma in questo momento non può che farci precipitare in una spirale recessiva. Ha ragione Giorgio Squinzi: per il presidente di Confindustria siamo sull’orlo del baratro. E pensate che io sono tra gli ottimisti». Il suo, dice Lombardini, non è uno sfogo, ma il frutto di un’analisi. «Sono stanco di sentire lamentele, ma mi rendo conto che sono più che giustificate. Come si fa ad approvare un aumento che costituisce un aggravio sui costi senza alcuna certezza documentata che almeno in qualche settore ci sia stata una ripresa? É impossibile far ripartire l’economia con un aumento che pesa sulle famiglie, soprattutto quelle meno abbienti?». Per di più, quest ultimo anno ha fatto scoprire ai trentini l’amarezza di non essere più un’“isola felice”. «A livello provinciale - osserva il presidente di Confesercenti - il Pil è allineato alla media nazionale. Il livello occupazionale regredisce giorno dopo giorno, l’artigianato boccheggia. Purtroppo è una situazione che può solo peggiorare, e l’aumento dell’Iva sarà una mazzata. Diminuirà ancora di più la già scarsa propensione all’acquisto. Sono scorato, amareggiato e molto preoccupato. Prendiamo il mercato del giovedì: ci sono ambulanti che chiudono la giornata con incassi dagli 0 ai 10 euro. E parliamo della fascia più economica del commercio. Ci sono piccoli e medi esercizi commerciali che trovano più conveniente chiudere piuttosto tenere aperto, almeno risparmiano sulle spese di gestione. É una situazione drammatica».

Massimo Piffer, vicepresidente dell’unione commercio e presidente dei dettaglianti, gli fa eco: «L’aumento dell’Iva ricadrà sul prezzo finale dei beni. Significa ulteriori aumenti, riduzione del potere d’acquisto, minori ricavi dei corrispettivi, cioè calo delle vendite, che spingeranno le aziende a licenziare personale. Dunque disoccupazione. É’ una spirale da cui non si esce. L’Iva al 22% è una scelta sbagliata. Bisogna tagliare la spesa pubblica, colpire gli sprechi. La pressione fiscale è già elevatissima. E nonostante ci sia liquidità nel nostro sistema bancario, la maggior parte delle aziende, non essendo un equilibrio con le marginalità che consentono di pagare gli interessi passivi, rinunciano a chiedere prestiti. Perché li otterrebbero solo a fronte di investimenti, non certo per pagare gli oneri fiscali». Le proiezioni, a livello nazionale, parlano di 30 mila aziende chiuse entro l’anno. Facendo un calcolo di massima, significa 250 chiusure in Trentino. «C’è una spirale perversa nel nostro sistema fiscale - aggiunge Piffer -: l’imprenditore che non si adeguasse agli aumenti non avrebbe più congruità rispetto agli studi di setttore e verrebbe additato dal fisco come evasore. Ciò perché i parametri sono fermi a vent’anni fa. Ormai siamo oltre il limite di sopportazione - conlude Piffer -, ed è tragico e triste assistere al soffocamento dell’entusiasmo di chi fa impresa. La nostra voglia di fare l’hanno distrutta negli ultimi 20 anni».

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