«In Trentino 15 mila malati di gioco»

L'esperta Serena Valorzi avverte: vizio che colpisce sempre più giovani


Alessandro Maranesi


TRENTO. Le cifre record sul sulle slot machines che, secondo i dati ufficiali raccolgono in Trentino Alto Adige ogni mese 68 milioni di euro, impongono un approfondimento sulle dinamiche del gioco d'azzardo. Una patologia "nuova" attorno cui manca una sufficiente informazione. L'esperta Serena Valorzi lancia l'allarme: 15 mila persone in Trentino sono dipendenti patologici da gioco. Dottoressa, lei è esperta di nuove dipendenze: ci può fare una stima su quanti sono i giocatori patologici in Trentino? «Possiamo parlare di una cifra nell'ordine di almeno il 3% della popolazione». Secondo lei c'è stato un aumento? «Assolutamente sì, e questo è dovuto al fatto che sono aumentati di molto i giocatori "seriali" ma anche perché ora se ne parla di più». Le risulta che nella nostra zona ci siano delle categorie particolarmente a rischio? «Parlare di categorie è scorretto: significa escludere qualcuno, il che è pericoloso perché si rischia di far pensare a qualcuno di sentirsi al sicuro. Questa è una dipendenza diversa: nasce spesso dal desiderio di cambiare in meglio la propria vita». Ci saranno però delle persone più a rischio di altre... «Sicuramente gli anziani, le donne sole, chi è ai margini della società. E poi io sono in possesso di un dato disarmante: da uno studio condotto anche da me risulta che a Bolzano i ragazzi nelle scuole abbiano un tasso di dipendenza al gioco assolutamente pari a quello della popolazione adulta». Cosa si può fare per prevenire questo dramma sociale? «La prima cosa è cominciare ad esporre in modo trasparente quali sono le possibilità di vincita congrua per ogni gioco. Se si forniscono informazioni razionali il tasso di chi inizia a giocare si abbassa notevolmente». E poi? «Informazione e prevenzione. Personalmente lavoro già molto con la Provincia e i comuni, andando anche nelle scuole e organizzando conferenze di sensibilizzazione, per formare le persone. La strada intrapresa dal territorio è quella giusta. Poi bisogna avere il coraggio di lavorare sulle emozioni: non basta l'astinenza dal gioco. Serve consapevolezza. Innanzitutto delle famiglie, che sono le penultime, di solito, a sapere cosa sta accadendo al congiunto. Che è invece davvero l'ultimo a rendersi conto del dramma che sta vivendo». L'idea di una struttura pubblica in provincia, proposta recentemente, può essere utile? «Non solo utile, ma anche giusta: sarebbe il modo con cui lo Stato pagherebbe il danno che esso stesso permette e su cui guadagna.













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