Il viaggio dei profughi lungo la rotta balcanica nel film di tre trentini 

Paolo Fuoli, Luca Renda e Francesco De Maria partiranno a breve per documentare ciò che succede tra Bosnia e Croazia 


di Paolo Trentini


TRENTO. Un viaggio di oltre un mese sulla frontiera bosniaco-croata per porre l'attenzione sul macabro “gioco” dell'immigrazione. Il 18 settembre Paolo Fuoli in compagnia di Luca Renda e Francesco De Maria partirà alla volta del confine bosniaco-croato. Qua i tre per 45 giorni raccoglieranno testimonianze ed effettueranno riprese con l'obiettivo di raccontare ogni settimana quello che succede nella zona di frontiera tra Bosnia e Croazia, a Velika Kladusa e a Bihac, paesini posti accanto a due campi, uno informale - ovvero non riconosciuto dallo Stato, autogestito e supportato da organizzazioni non governative – e uno curato dalla Croce Rossa locale che ospitano diverse centinaia di persone provenienti dal Medio Oriente, dall’Asia Meridionale e dal Nord Africa.

Precedentemente impiegato in Cinformi, Paolo, trentenne trentino, non è nuovo a questo tipo di viaggi: “Lavorando nel centro – spiega – spesso mi trovavo a contatto con delle persone psicologicamente devastate, con depressioni anche gravi. Per capire la loro rabbia e la loro frustrazione e capire cosa hanno passato non serve attendere dietro una scrivania, ma bisogna andare verso di loro. Così ho deciso di vivere sul campo le difficoltà dei migranti recandomi direttamente nei loro accampamenti a pochi metri dai confini degli stati balcanici. Purtroppo si parla esclusivamente della rotta mediterranea, ma solo lungo i 175 km di filo spinato che separano Ungheria e Serbia si accumulano diverse migliaia di persone. Anche il confine serbo-croato non fa eccezione. Non c'è il filo spinato ma il disagio è identico e i rifugiati possono trascorrere lì anche due anni, con gli elicotteri a fare da guardia e con il terreno pieno di mine ancora inesplose dagli anni '90, oltre alla polizia che spesso opera in contrasto con i diritti umani”.

Il gruppo firmerà il proprio lavoro come Collettivo “Checkmate”, scaccomatto, il nome del progetto è invece ispirato proprio al tentativo di valicare il confine: “The Game è il nome che viene dato dai migranti stessi al tentativo di attraversamento non legale di una frontiera. “The Game” consiste nel non essere visti o catturati dalla polizia di frontiera ma, come succede nella maggior parte dei casi, i “giocatori in fuga” vengono individuati, spogliati dei propri diritti di esseri umani e rimandati indietro al punto di partenza. La polizia trattiene il denaro e i beni che le persone portano con loro, adottano violenze psicologiche, tradotte in umiliazioni ed insulti e addirittura fisiche, come esortazione a non ripetere il gioco. Il nostro sarà un reportage con l’obiettivo di accendere i riflettori sulla frontiera bosniaco-croata, lembo di terra tenuto nascosto. Si sviluppa attraverso la scrittura, la produzione video e una simil radio con la quale le persone che vivono nei campi informali lungo la frontiera, possono sfogare le loro frustrazioni, liberare i loro pensieri e inviare dei messaggi inserendoli in un “canale diretto verso l’Europa”.

Nelle intenzioni dei tre ragazzi la volontà di cercare di dare informazioni settimanali e fornire dati precisi sulle persone bloccate in Bosnia: “Il reportage – conclude Paolo - si suddivide in sei punti, uno per settimana, e mira a indagare le ripercussioni a vari livelli della chiusura della frontiera. Nelle prime tre settimane racconteremo “il gioco” di alcuni migranti e le ripercussioni che ha sulle loro vite, quali sono le organizzazioni che lavorano nel campo per coprire i bisogni primari dei migranti e per farli sentire meno soli e più umani. Nelle settimane successive chiariremo la militarizzazione delle frontiere, le condizioni di tutti quei bambini e adolescenti che vivono nell’incertezza di un futuro, che non vanno a scuola e che da molti anni vivono all’interno di “non luoghi”. Dopo aver tirato le somme di quello che è successo, concluderemo il reportage aggiornando rispetto al “gioco” intrapreso alcune settimane prima e raccontato nel primo episodio da alcuni migranti. L'ultimo tassello di questo puzzle riguarderà le storie di alcune persone che respirano l’aria europea da un paio di anni, racconteremo come le loro vite sono cambiate e ci immergeremo nella relazione con il “sogno europeo” cercando di capire se si è infranto o è stato esaudito”. Tenendo i riflettori accesi il più a lungo possibile.













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