I mille colori della cecità

La mostra di Stefano De Luigi per "Rovereto Immagini"



ROVERETO. In occasione della quinta edizione di «Rovereto Immagini 2011» arrivato quest'anno alla quinta edizione, gli spazi espositivi del mezzanino del Mart ospitano fino al 30 ottobre la mostra "Blanco. Visions of Blindness". Un progetto di Stefano De Luigi curato da Giovanna Calvenzi. La rassegna espositiva che riguarda il progetto sulla cecità succede alla pubblicazione del volume "Blanco" edito da Trolleybooks nell'aprile di quest'anno - vincitore del POYi, Best Photography Book of the year -, e all'inaugurazione di una prima mostra "Blanco Visions of Blindness" rispettivamente tenutasi presso la Galleria VII a New York e la Galleria 10b di Roma. Con la presentazione dell'omonimo video l'artista si è aggiudicato il First Prize Multimedia alla Hope for a Healthy World competion.

E inoltre un secondo premio al World Press Multimedia Contest. De Luigi è un fotografo internazionale di estrazione giornalistica, da tempo impegnato nell'analisi del processo di "fabbricazione" delle immagini e del meccanismo di "fascinazione" che producono, come scrive Philippe Dagen nel testo critico di presentazione della mostra; i suoi reportages per la stampa internazionale vengono pubblicati nei più importanti magazines internazionali, partecipando altresì a numerose mostre collettive con successo di pubblico e critica.

Dopo aver indagato i mondi della televisione, del cinema e della pornografia, con "Blanco" De Luigi ha sviluppato un lavoro ancora legato al tema della visione, del dolore e della percezione dello sguardo altrui, ma con soggetti molto particolari.

Si tratta di immagini di persone non vedenti, ritratte nell'arco di quattro anni, dal 2003 al 2007 in India, Cina, Africa ed Europa dell'Est. "Blanco" pare in un certo senso la risposta alla domanda fondamentale implicita in queste foto, ovvero "che colore ha la cecità". Per De Luigi tuttavia la ricerca non si svolge indagando aspetti unicamente formali ma riguarda questioni complesse di carattere etico, in ordine alle modalità impiegate dai non vedenti per mostrare gioia, felicità, irritazione, dolore, sofferenza, pena, rimpianto.

Questi quesiti segnalano l'originalità della ricerca di De Luigi volta ad indagare se l'assenza della vista possa implicare anche un'assenza di complicità con il fotografo. "Il modo di raccontare in immagini di Stefano De Luigi" scrive Giovanna Calvenzi nel testo in catalogo "si riconduce alla scuola nobile del giornalismo fotografico ma le realtà che si trova ad affrontare lo stimolano a cercare una strada che gli consenta di testimoniare per suggestioni, per avvicinamenti che evitino la compassione ma anche la denuncia. Sa che il riflesso di sopravvivenza più diffuso è di chiudere gli occhi davanti a un'evidenza che ci turba, di fingere di non vedere quello che ci potrebbe ferire, di accettare la trasformazione della realtà in un'immagine che metabolizzi e renda accettabile il dolore.

Il muro di protezione dalle emozioni che le fotografie più aspre e dirette ci costringono a costruire doveva e poteva essere sgretolato solo da immagini meno dirette, più difficili e capaci di smuovere, di coinvolgere, di informare e turbare".













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