Graffiti in città, tra arte e vandalismo

Disegni e scritte nei sottopassi, sui palazzi e i negozi. E i trentini si dividono


Sandra Matuella


TRENTO. Sospeso tra clandestinità ed arte vera e propria, quello del graffitismo è un fenomeno che interessa sempre più anche la città di Trento, dove abbondano disegni colorati elaborati con semplici finalità estetiche, insieme a scritte contenenti messaggi di protesta sociale, sessuale, anarchici e antimilitaristi. I graffiti campeggiano non solo nei luoghi più bui e nascosti della città, ma anche sulle facciate dei palazzi del centro storico e nella prima periferia: certo i luoghi privilegiati sono quelli pubblici all'aperto, come i giardini, le piste ciclabili, le costruzioni nei pressi delle stazioni ferroviarie, i vagoni dei treni, specie i pendolini della Valsugana, i parcheggi e le serrande dei negozi. Ciò che accomuna i graffitisti è l'anonimato degli autori che si firmano con un nome di battaglia, la tecnica veloce con cui vengono eseguiti, utilizzando bombolette spray, e soprattutto, la mancanza di autorizzazione ad eseguire questi interventi visivi.

Fenomeno artistico o vandalismo? E' un bel dilemma, e su questa "arte di frontiera" si è espresso più volte anche un grande critico d'arte come Vittorio Sgarbi che ha ammesso una possibile artisticità di questi lavori, a patto però che non vengano eseguiti su edifici storici, perché sono essi stessi delle opere d'arte che verrebbero così solo rovinate dalla presenza di altri segni. Nelle zone più degradate o esteticamente poco curate e anonime, possono invece portare un tocco di artisticità e di tendenza, come successe nei bassifondi della New York degli anni Settanta, dove questo fenomeno è nato ad opera di giovani emarginati, insieme alla musica rap, a hip hop e break dance. E così, artisti americani come Keith Haring, Basquiat e Rammellzee passano dall'emarginazione ai grandi musei e al design internazionale. I graffiti sono lo sfondo ideale di balletti altamente spettacolari come quelli visti a metà anni Novanta al festival di danza contemporanea Oriente Occidente di Rovereto, che nel 1996 dedicò a questo fenomeno gran parte della sua programmazione.

A Trento, come del resto nelle metropoli, i graffiti interessano anche le aree militari e religiose, e vengono quindi eseguiti nei pressi di chiese o caserme, spesso con intento polemico contro il sistema: rovesciando però la loro carica eversiva, possono diventare un efficace mezzo di dialogo con i giovani da parte delle istituzioni: sull'Oratorio del Santissimo, ad esempio, c'è l'insegna tutt'altro che abusiva, in perfetto stile graffitaro. Sui graffiti i trentini si dividono e i loro pareri non hanno vie di mezzo: o si amano o si odiano: è il caso del signor Luigi, un pensionato che si rivolge spontaneamente a noi mentre fotografiamo alcuni murales che "decorano" i pannelli della ciclabile lungo il Ferina: «E' forse perché sono belli che li state fotografando?», la sua domanda retorica, tra l'ironico e l'arrabbiato: «E' una vergogna - sentenzia - bisognerebbe farglieli pulire con la lingua, così poi a quelli passa la voglia di imbrattare i muri. A livello politico, però, non c'è la volontà di prenderli, perché si sa benissimo chi sono, visto che sono giovani che provengono tutti da studi artistici».

Subito interviene in difesa dei graffitisti una elegante signora vestita all'inglese, accompagnata dalla badante ucraina: «Anche se ho 74 anni questi disegni colorati mi mettono allegria, e li vorrei anche a casa mia. Questi disegni sono un antidoto alla tristezza, specie in una città grigia come Trento, dove anche i trentini più vivaci sono comunque grigi». Più moderato il signor Giovanni, un medico che si sta recando in ambulatorio: «In un sottopassaggio lungo la ciclabile vicino ad un graffito c'è la scritta "Art is not a crime", l'arte non è un crimine: posso anche essere d'accordo con questa affermazione, però basta che non vengano a casa mia, perché in quel caso più che di arte parlerei di atto vandalico. E poi i loro interventi senza controllo stridono enormemente con tutte le trafile burocratiche che noi cittadini dobbiamo invece affrontare anche per un minimo intervento alle nostre abitazioni». Una giovane mamma con il passeggino si dimostra ben più comprensiva e osserva che «questi riti di strada andrebbero osservati con più attenzione, perché rappresentano una maniera con cui i giovani esprimono la loro energia e soprattutto il disagio e il disappunto verso una società che li vuole sempre più precari, sfigati e senza nessuna certezza circa il loro futuro».













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