l'intervista

Gli 85 anni di Maestri: «Fatico a muovermi ma non mollerò mai»

Oggi il compleanno del Ragno delle Dolomiti, che festeggerà in un letto al S.Chiara: voglio vivere con dignità fino alla fine


di Elena Baiguera Beltrami


TRENTO. La voce è un po’ tremula, la stretta di mano, se pur calorosa, ha perso il vigore di chi nelle mani ha stretto una corda che lo ha sempre portato in vetta, mentre lo sguardo caparbio rimane quello di un uomo che ogni giorno ha davanti a sè una nuova conquista: resistere al peso degli anni. Cesare Maestri, nonno di Carlotta e dolcissimo bisnonno di Mia, oggi ha raggiunto un altro primato, un ottantacinquesimo compleanno non propriamente soddisfacente dal punto di vista della salute. Una paresi due anni fa ha compromesso il quadro generale ed in particolare la deambulazione. Dunque la ricorrenza la festeggerà a Trento, invece che con gli amici di Madonna di Campiglio. Al 5° piano dell’ospedale S.Chiara, attorniato dall’affetto e dalle cure dall’equipe medica del dottor Daniele Orrico, primario del reparto di neurologia, oggi è tutto pronto per un brindisi. Ma la voglia di raccontarsi, il grande anelito vitale, che ne ha fatto uno dei più grandi alpinisti del mondo, quelli rimangono, come se dietro al velo del tempo, il “battito animale” del grande rocciatore, fosse ancora udibile, scandito dal ritmo del pensiero.

Con quale atteggiamento mentale ci si pone con il dinamismo di un grande alpinista costretto a fare i conti con l’inesorabilità del tempo che passa?

Con dignità, che sia la cima una montagna, o la sfida della vita non importa, l’importante è resistere. Quando festeggiammo i 90 anni di Bruno Detassis ebbi a dire che il vero alpinista è colui che riesce ad invecchiare e la sua lezione è diventata il mio mantra. Ma non si tratta di una cosa strana, la montagna è maestra in questo, il rapporto con il senso del limite ti si presenta costantemente, tu sei il limite e questo continuo misurarti con te stesso fa parte della tua scelta di vita.

D’accordo, ma non poter più scalare, o soltanto fare passeggiate naturalistiche, come accadeva negli ultimi tempi con bimbi, non deve esser stata una rinuncia facile.

Una volta andavo in cima al Crozzon di Brenta in mezz’ora oggi da casa mia alla famiglia cooperativa sono 50 metri e ci metto 20 minuti. Si tratta pur sempre di un’impresa che ogni giorno mi prefiggo di affrontare con l’aiuto dei miei bastoncini. L’imperativo è non mollare mai, andare sempre avanti, diversamente sarebbe un esempio negativo. E gli esempi negativi non occorre andarli a cercare, ce ne sono ovunque per tutti i gusti.

A proposito di esempi qual è il messaggio che un alpinista e autore di numerose autobografie vorrebbe passare alle generazioni future?

Nel mio ultimo libro dal titolo “Una montagna di emozioni” che uscirà a Natale, affronto questo tema. Non vorrei che mi ricordassero per le imprese che ho compiuto, ma per come ho vissuto e credo di aver vissuto con dignità. L’alpinismo mi ha insegnato a vivere, è stato tutta la mia vita, con l’alpinismo mi sono realizzato, ho raggiunto tanti traguardi, spero che l’alpinismo mi insegni anche a morire. Posto che se non avessi avuto Fernanda non avrei potuto fare ciò che ho fatto e un po’ mi dispiace di averla costretta ad una esistenza sempre in bilico. Questo per quanto riguarda il passato, mentre oggi che la salute è quel che è, posso solo ringraziare mio figlio Gian e sua moglie Paola, due persone di una generosità e di una affettuosità incommensurabile.

L’alpinismo oggi è ancora una “impresa”? L’impari sfida dell’uomo nei confronti della natura, oppure ha perso quel fascino e quei valori?

E’ una riflessione che sto facendo da anni: penso che non sia più il tempo delle “imprese”, ma soltanto degli exploit. Che so: salire con una gamba sola o con un occhio bendato su un ottomila, cose del genere. Ogni tempo ha le sue regole, guardare l’alpinismo oggi con gli occhi di ieri è un gravissimo errore. E’ il momento storico che dà significato ad un’impresa. Il mio era un discorso diverso, forse più intimistico, emozionale, ripetendo da solo le vie di Detassis, di Soldà, di Cassin era come scassinare il loro cuore, leggere il loro diario segreto, li capivo, questo era il mio approccio, la molla che faceva scattare il desiderio di andare sempre oltre.

Il nostro tempo è scaduto, l’ospedale ha le sue regole, ma insieme all’augurio di buon compleanno c’è un altro augurio che, siamo certi, tutta la comunità trentina vorrebbe fare a Cesare Maestri: buona guarigione e buon rientro tra le sue montagne.













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