Gianni Pellegrini, la vita propria delle ombre

Chiude la mostra dei «doppi» nel segno del colore


Fiorenzo Degasperi


Alcune ombre si aggirano per le sale del Centro Studi Judicaria di Tione. Sono grandi, intriganti, vivono di vita propria. Per chi le sa osservare con attenzione noterà che il colore steso per creare questi doppi dell'uomo celano una segreta scrittura fatta di segni. Colui che le ha create è Gianni Pellegrini, rivano, valente artista del colore e del segno, a cui il Centro ha dedicato la quinta mostra antologica annuale dopo quelle dedicate ad altrettanti artisti del territorio. Questa di Gianni Pellegrini, che chiude domani (info www.judicaria.it), è stata curata da Mario Cossali con un testo di Alessandro Togni e l'introduzione di Graziano Riccadonna.  Che dire di questi lavori nati e cresciuti all'interno di materialità fatta di pittura-pittura? Sicuramente l'arte dello stendere il colore, velo dopo velo, senza per questo far sparire ciò che sta prima, è una prerogativa di quei artisti che sanno far cantare con melodia i timbri e gli spessori di ogni goccia cromatica che viene depositata sulla tela. Si narra che quando usciamo dal nostro Ego personale e individuale e cominciamo il nostro viaggio nella vita incontriamo subito l'ombra, la parte di noi che dobbiamo innanzitutto riconoscere e integrare, poiché senza di essa non saremmo completi.  Probabilmente Gianni Pellegrini, stendendo i veli della vita una dopo l'altro, ha voluto semplicemente poetare il piacere del colore di per sé, nella sua esistenza primordiale ed autonoma. Ma ai significati reconditi non si può sfuggire così come le tracce che appaiono in trasparenza non sono solo linee ispessite dal colore nero ma formano un alfabeto di cui noi forse abbiamo perso la chiave d'accesso o la conoscenza. Ma che sono lì, lettere astratte per un mondo universale, lettere comprese qui come là, dove Giuseppe Capogrossi delineava "E" rovesciate come fossero pettini e Cy Tombly attraversava la tela e la carta con una miriade di tracce di lettere e segni indecifrabili.  Rispetto a questo mondo del recente passato Gianni Pellegrini non si lascia andare alla casualità ma c'è una struttura di base che soggiace all'ombra: è un ordito, una trama. Tessere, così come intrecciare vimini, sono una forma di legame, di connessione tra vari elementi. E sono quasi invisibili per gli uomini questi misteriosi lacci del fato, i fili tessuti, gli spaghi che scendono verticalmente e si allontanano orizzontalmente, che non ci accorgiamo che formano la trama stessa della nostra vita. Questi segni hanno una vita propria che l'artista sa controllare perché ne è l'artefice, il creatore, colui che ha saputo concettualizzare la materia. Inoltre è il depositario del colore: lui ne conosce le formule, gli amalgama, le variazioni cromatiche.  E forse è questo colore che si dilata ben oltre la cornice e che accoglie come un caldo mare il segno sottostante, che si offre allo spettatore come ombra, spesso drammatica e terribile poiché rappresenta tutto ciò che noi non conosciamo e temiamo ad affascinarci. Come i bambini che sono attratti dal terrore così noi siamo sedotti da queste aperture verso l'infinito, da queste tende che una volta alzate ci offrono l'occasione per intraprendere innumerevoli viaggi nella storia dell'arte ma anche nella fantasia.  

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