Donne maltrattate e invisibili  «La sola repressione non basta» 

Oggi la giornata contro la violenza di genere. Il dirigente della Mobile Tommaso Niglio: «Abbiamo leggi avanzatissime ma per aiutare veramente le vittime serve un lavoro culturale, un impegno di tutti a sostegno della donna e dei figli»



Trento. «Invisibilità». Una parola semplice che però rappresenta forse lo scoglio maggiore da superare affrontando il tema della violenza contro le donne. Ed è una parola che il vice questore Tommaso Niglio, a capo della Squadra Mobile di Trento, ripete più volte. «Bisogna cancellare l’invisibilità di queste donne maltrattate - spiega - e noi facciamo la nostra parte avendo a disposizione leggi avanzatissime. Ma non ci siamo solo noi. Che, comunque, arriviamo quando il reato è già stato commesso. Per lavorare per le donne è necessaria la partecipazione di più soggetti. È necessario anche lavorare sui più giovani perché la cultura del rispetto va insegnata». Insomma le forze dell’ordine ci sono, c’è un impegno a formare il personale per occuparsi nel migliore dei modi di casi più delicati, ma, appunto, quando arrivano loro, se vogliamo immaginare la donna maltrattata come un vaso, il vaso è già incrinato se non rotto.

Le denunce

Dall’inizio dell’anno sono 58 i casi seguiti dalla Mobile che si richiamano a quei reati ora normati dal “Codice rosso”. «Ci sono state 51 denunce e in sette casi abbiamo agito d’iniziativa dopo un provvedimento di ammonimento del questore, oppure in seguito ad un intervento per una lite in famiglia. Dove si è scoperto che la conflittualità non era occasionale ma figlia di un rapporto dove la prevaricazione dell’uomo era una costante». 25 sono le misure come il divieto di avvicinamento, l’obbligo di dimora, mentre in dieci casi si è arrivati alla detenzione, domiciliare o in carcere che sia. Un lavoro in stretta collaborazione con la procura, ancor di più ora che la legge impone al pm l’audizione della vittima entro tre giorni. «Nella maggior parte dei casi - spiega ancora il dirigente della Mobile - la donna che si rivolge a noi lo fa dopo aver sopportato per anni le aggressioni. E racconta di botte subite e non refertate. Che rischiano di diventare maltrattamenti invisibili perché non c’è una documentazione che le possa certificare. Si possono cercare testimoni, si lavora per ricostruire quello che è successo, ma è una strada in salita perché le cose avvenute nel passato e non documentate, difficilmente possono essere contestate. Ed ecco che torna il tema dell’invisibilità: se non si denuncia, se non si chiede aiuto, è come se non fosse mai successo».

Codice Rosso

«Abbiamo una normativa all’avanguardia sul tema - prosegue Niglio - la tempistica è molto veloce e quindi è veloce la risposta che si può dare alle donne. A partire dall’ammonimento del questore che è un provvedimento amministrativo e quindi rapido. Si è pure puntato molto sulla formazione degli operatori. Rapportarsi con le donne vittime di violenza chiede modalità diverse rispetto al classico lavoro da Squadra Mobile, ed è per questo che la formazione è fondamentale. Anche per instaurare un rapporto con la vittima che la porti naturalmente a parlare con noi, a cercare aiuto».

Prima e dopo

Ma per essere al fianco delle donne maltrattate serve, secondo il dirigente della Mobile, un lavoro congiunto. «C’è quello repressivo della polizia - spiega - che può essere anche preventivo, ma è la società che poi deve prendersi cura della donna, dei figli. E anche di chi ha alzato le mani, con corsi che lo aiutino a capire dove ha sbagliato, per non sbagliare più. C’è il lavoro da fare sui giovani per far capire loro come il rispetto reciproco sia l’unica base possibile per un rapporto. Un aspetto, questo, sul quale è impegnata anche la polizia con diversi incontri dove è importante parlare ai giovani in modo chiaro, magari crudo, ma tale da riuscire a stabilire un rapporto, per farsi ascoltare».

Reato trasversale

La violenza di genere non ha un target preciso, non ci sono livelli di reddito, di istruzione, di cultura che possano fare da scudo certo. «È trasversale - conclude Niglio - e capita che la donna sopporti pensando ai figli, che pensi che con la denuncia possa rischiare di incrinare quell’idea di famiglia che è felice solo in apparenza. E magari la madre arriva da noi dopo aver sopportato per anni le angherie del coniuge solo quando l’uomo alza le mani contro i figli. Ma è sbagliato. Anche perché noi genitori siamo un esempio per i figli. E non si può farli crescere con l’idea che picchiare mamma sia giusto. E l'invito finale rivolto a chi subisce atti di violenza, maltrattamenti fisici e psicologici non può essere quello di denunciare, di chiedere aiuto». Per rompere l'invisibilità. M.D.













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