Donne e violenza, ribellarsi è strada ad ostacoli

Trento. Fra il 2000 e il 2018 in Italia si contano 3100 casi di femminicidio. In media ogni settimana tre donne vengono uccise nel nostro paese in quanto donne, da mariti, compagni, ex amanti,...


Maddalena Di Tolla


Trento. Fra il 2000 e il 2018 in Italia si contano 3100 casi di femminicidio. In media ogni settimana tre donne vengono uccise nel nostro paese in quanto donne, da mariti, compagni, ex amanti, persone spesso loro molto vicine o che lo sono state nella loro vita. Per cercare di analizzare un fenomeno così drammatico e trovare alcune soluzioni a questa tragedia, ieri e oggi si svolge al Centro Studi Erickson a Trento un convegno internazionale.

Si tratta della terza edizione di “Affrontare la violenza sulle donne”. Le prime due edizioni si erano svolte nel 2015 e nel 2017. “L’iniziativa nasce dal confronto con vari operatori, con il coinvolgimento del gruppo di ricerca universitario di Trieste della professoressa Patrizia Romito – ci spiega Elena Stanchina, responsabile del Settore Ricerca e sviluppo di Erickson, che ha coordinato l’evento – hanno collaborato con noi anche la Rete italiana dei Centri antiviolenza, l’Associazione Maschile plurale e la Rete Wave”.

La due giorni di Erickson ha affrontato quattro macro-temi: le donne invisibili (straniere, disabili, giovanissime) che subiscono violenza restando ai margini dell’attenzione e dell’indignazione, le donne vittime davanti alla legge, i percorsi di accompagnamento delle donne vittime, lo sguardo oltre la sofferenza, per lavorare con gli uomini maltrattanti per cambiarli e per permettere alle donne di elaborare il trauma.

In particolare nella tavola rotonda “Le varie facce della denuncia: difficoltà, pregiudizi e intervento” varie avvocate ed esperte hanno raccontato le tante difficoltà della donna che decida di denunciare il partner violento o il suo maltrattatore. Gli ostacoli che emergono sono giuridici, di misure di sicurezza personale a volte tardive, di insufficiente formazione ed empatia delle forze di polizia, di preparazione non specialistica della magistratura, di tempi processuali lunghi, di vittimizzazione secondaria. Il costo personale, emotivo, e a volte in termini anche economici e di sicurezza della donna che denuncia, va valutato attentamente, per preparare la donna a quello che dovrà affrontare, come hanno spiegato le relatrici.

L’avvocata Francesca Pidone, dell’associazione Donne in Rete contro la violenza, ha spiegato: “La denuncia non è l’unica risposta per liberarsi dalla violenza, serve anche altro accanto alla parte giuridica”. Servono formazione specialistica, protocolli minimi, empatia verso le vittime, capacità di comprenderne nel profondo bisogni e problemi, messa in rete di strumenti e servizi, garanzie sulla messa in sicurezza della donne e dei loro figli, se presenti. “La violenza non nasce da problemi psichici individuali, la violenza sulle donne è un problema culturale, che ci riguarda tutti. Se il contesto non dà alla donna gli strumenti per uscirne, non ne esce”, ha chiosato Marcella Pirrone, avvocata, vicepresidente di Wave, esponente del Centro antiviolenza di Bolzano.

Fra gli elementi essenziali del problema, analizzati in una tavola rotonda apposita, c’è anche il modo in cui si parla di violenza e di virilità, e dunque anche il ruolo del giornalismo, che secondo i relatori spesso sbaglia e diffonde stereotipi. Dai lavori emerge un certo scetticismo anche sulla recente legge sul Codice Rosso: costringere la donna vittima a ripetere entro tre giorni la denuncia delle violenze subite, si è detto, spesso è uno stress enorme e insopportabile, soprattutto se ci sono bambini piccoli da accudire.

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