«Crisi, la Provincia nasconde i numeri»

Il presidente dei costruttori di Confindustria: nel 2010 nessuna impresa locale si è aggiudicata gare sopra i 5 milioni di euro


di Paolo Morando


TRENTO. Quel rapporto lo aveva ricevuto anche lui. Lo aveva sfogliato e aveva storto la bocca. E ora che ne ha visto i dati principali pubblicati sul giornale, ieri sul Trentino, l’irritazione è palpabile. Misura le parole Enrico Garbari, presidente dell’Ance (i costruttori edili di Confindustria), nel prendere posizione sulla “Relazione sullo stato degli appalti della Provincia di Trento” messa a punto dall’assessorato ai lavori pubblici. Ma sono parole dure: «Mi spiace dirlo, ma la Provincia fornisce dati fuorvianti: si sbandiera l’86,21% di appalti affidati a ditte locali, ma purtroppo si tratta di dati riferiti al 2009. Le cifre vere sono altre, e in quel documento pure sono contenute, ma proprio in fondo, affinché passino inosservate».

Tutto dipende dalla “forcella”, termine che va spiegato a chi non mastica di appalti e lavori pubblici. Si tratta del meccanismo per il quale, proprio fino al 2009, le selezione delle aziende in gara (30 su “invito” della pubblica amministrazione) si basava su due criteri: l’aver sede legale in Trentino e la “solidità” dell’impresa, sulla base di fatturato e numero di dipendenti. E punteggi più alti venivano assegnati a seconda del possesso di questi requisiti, in particolare il secondo. «L’effetto virtuoso a favore delle aziende trentine strutturate era garantito: quell’86% lo indica», spiega Garbari. Così appunto fino al 2009. Poi la legge provinciale è cambiata e la “forcella” è stata abolita. E benché il governo abbia successivamente impugnato la nuova normativa, ottenendo l’eliminazione di numerosi articoli, di “forcella” nessuno ha più sentito parlare. Risultato: nel 2010, per quanto riguarda lavori pubblici d’importo oscillante tra 2 e 5 milioni di euro, appena il 7% è finito ad imprese trentine. E sopra i 5 milioni il dato che fornisce Garbari è eloquente: zero.

Vista la mala parata, l’edilizia trentina chiese a gran voce un cambio di rotta, poi concretizzatosi in un Atto di indirizzo della giunta: quello che ha introdotto il principio dell’offerta economicamente più vantaggiosa legato non solo al prezzo proposto (che anzi pesa per appena il 30%), ma anche alla qualità del progetto (ed è il restante 70%). Con benefici immediati per un settore fiaccato dal una crisi sempre più incalzante: nel 2011 per le gare d’appalto tra 2 e 5 milioni di euro la quota vinta da aziende trentine è tornata al 60%, dunque non ai livelli precedenti ma ben al di sopra del misero 7% dell’anno prima. E per importi superiori a 5 milioni, siamo addirittura al 100%. Tutto bene? Solo in parte, spiega Garbari: le nuove regole non si estendono infatti ad appalti inferiori a 2 milioni di euro. Che sono la maggior parte. Qui insomma per le imprese trentine è dura ritrovarsi a sgomitare con centinaia di rivali da tutta Italia.

«Capisco che oggi, con la crisi, la Provincia non possa più investire in lavoro pubblici come in passato - concede Garbari - ma quello che fa almeno non lo rallenti immotivatamente, proprio quando servirebbe invece un’accelerazione». E cita un dato, significativo: sulla spesa per il 2012, ad oggi mancano ancora gli atti per 430 milioni dei 604 previsti. E i bandi emessi ammontano ad appena 74. Ma anche sul fronte dell’edilizia privata, secondo il presidente dell’Ance, l’ente pubblico potrebbe fare di più: ad esempio allungando da un anno a 2 la durata delle concessioni e da 3 a 5 quello per la fine lavori. «Ma fino a quando non si sbloccherà il credito - conclude - parlare di ripresa dell’edilizia privata non sarà realistico».

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