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Berlanda e il segreto del vero libraio «Ci vuole emozione»

Simone, direttore della libreria Àncora-Artigianelli, svela trent’anni di passione e di corse fra volumi e clienti


di Paolo Mantovan


Simone qua, Simone là, Simone su, Simone giù, tutti gli chiedono, tutti lo vogliono. Sì, come Figaro, bravo bravissimo, tutti lo cercano Simone Berlanda, direttore della libreria Ancora ("Artigianelli", per tutti). È il faro, è la certezza per chi cerca un libro, per chi vuole un suggerimento. «A chi non fa piacere essere cercato? Però...».

Però Simone Berlanda è davvero “pronto prontissimo, son come il fulmine” come ricorda Figaro parlando di sé. Ma non è certo un millantatore come Figaro. Lui davvero ha occhio di lince, vede tutti i clienti, li riconosce uno ad uno, entri agli Artigianelli e ti senti a casa. Eppure non è una casa la libreria: un po’ è un negozio, un po’ è un luogo affollato di creature. «Sì, i libri sono tutti delle creature, no? - dice Berlanda mentre ci fa strada nel suo regno di via Santa Croce - Sono un po’ matto a dire così? No, dai, è vero che i libri sono cose vive! Ed è per quello che bisogna saperli disporre bene, bisogna cercare di offrire le emozioni che i libri ti possono dare già alla semplice vista della copertina». Eh sì, perché la copertina ha il suo fascino. «Più che fascino direi che ti può dare il senso vero di quello che c’è dentro un libro. A volte ci riesce perfettamente. Ecco guarda qui: “Il labirinto” di Eugenio Scalfari nella copertina dell’edizione Einaudi è esattamente ciò che è il libro, copertina perfetta». A volte, dunque, la copertina di un libro è come il volto o gli occhi di una persona: ci rivela un po’ l’anima. «Assolutamente. E un libraio deve cogliere l’anima di ciò che offre».

 

L’anima di Simone Berlanda è quella di una persona curiosa, infinitamente curiosa. Berlanda, sposato con Irene (che divora libri), due figlie, classe 1964, trentinissimo di Trento quartiere San Giuseppe dalla nascita, è lì agli Artigianelli dal 1984, prima garzone, poi libraio di qualità, infine direttore della libreria. «A dire la verità ho iniziato ancor prima: quando ero in terza superiore ho chiesto se mi pigliavano per l’estate, così tiravo su due lire per comprarmi i libri di scuola. In libreria c’era mio zio Tullio, frate, e mi presero».

Ha iniziato presto Simone a vivere fra migliaia di “anime” in esposizione, a presentare alle migliaia di clienti che son passati di lì i migliori prodotti sullo scaffale. Si è fatto largo in fretta, con garbo, presenza di spirito e rapidità. Berlanda ha pure studiato mentre faceva il libraio. «Praticamente subito in realtà. Ho iniziato la facoltà di Lettere nell’85, ero la matricola 39, lo ricordo ancora. Sì, un po’ faticoso studiare e lavorare a pieno ritmo, ma venivano qui tutte le ragazze a portarmi appunti e a darmi le dritte: Lettere era qui a un passo». Solo ragazze? «Per forza - ride Berlanda - erano iscritte quasi solo ragazze!».

E poi sempre a leggere libri su libri... «Ho iniziato presto: mio padre Marco (il pittore ndr) ne leggeva tantissimi». Scusi, direttore Berlanda, ma il libraio deve essere un po’ un intellettuale? «No! Perché mai? Affatto». Scusi, un momento: quanti libri legge alla settimana? «Due». Fanno cento all’anno. Non mi dirà che non finisce inevitabilmente per essere un intellettuale chi legge cento libri all’anno. «Ma no, perché? Appena un pizzico. Poi si leggono anche libri per bambini, anche quelli rosa della Harmony». Lei legge Harmony? «No». Vede? «Però, direi di no. In fondo il libraio è un commerciante». È una persona che deve saper proporre dei libri? «Adoro e invidio i librai “di proposta” come si suol dire. Quelli che amano delle letture e le offrono ai clienti. Io ho una visione diversa però. Credo molto all’idea “montroniana” (cioè di Romano Montroni) del libraio, che si basa su tre punti: 1) accoglienza; 2) assortimento (è fondamentale come noi distribuiamo ed esponiamo i libri); 3) emozione». Rieccoci: l’emozione. «Sì. A volte faccio le prove: entro al mattino in libreria come se fossi un cliente e mi guardo attorno, chiedendomi se sto entrando in un luogo che mi attira, dove ci sono libri che mi catturano».

Che cosa credete? Che riusciamo a parlare con Berlanda senza interruzioni? Macché, tutti lo vogliono, tutti lo chiamano, e lui prontissimo, reattivo, positivo, con il sorriso. E con autoironia.

Quanta passione bisogna avere? «Tanta. Ma i libri ti aiutano: te la fanno aumentare giorno dopo giorno». Ma non c’è solo la forza dei libri, ci vuole anche una predisposizione e la capacità di relazione. «Assolutamente» annuisce Berlanda. Ma poi si schermisce: «C’è che mi dice che sono un “animale da libreria”, che sono nato per stare al banco e a me piace tantissimo. Però, non è che sono così bravo con le persone: sono sempre stato timido...». Bugia, Berlanda: lei non è timido! «Una volta lo ero tantissimo» arretra subito. Ma poi torna all’attacco: «E comunque dai libri impari tanto». Allora ci dica un titolo. Uno per tutti. «Uno? E come faccio?». Avanti. «Ok. “La connessione di tutte le cose” di Selden Edwards». Davvero? «Sì, mi viene in mente spesso». È riuscito a vedere mai il miracolo di chi non leggeva e ora si nutre di libri? «Certo che sì! Tanti miracoli. E all’opposto non ho mai visto un grande lettore smettere di leggere. E questo mi dà speranza».













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