A22, è il momento della verità Il nostro tesoro è a rischio 

La battaglia per il rinnovo. La ministra ha indicato la data del 29 dicembre per liquidare i privati, pena la gara. Ma tra i soci pubblici le divisioni sono ancora ampie. Così interpretazioni errate e tensioni politiche minano un’infrastruttura vitale


Luca Petermaier


trento. Errori ritardi, incomprensioni, divisioni, annunci roboanti seguiti da docce gelate. Guerre di potere. Uno stillicidio di stop&go. Complicate vertenze giuridiche che producono atti parlamentari dai piedi d’argilla. Un gioco dell’oca che porta sempre a ritornare lì, al punto di partenza: due passi avanti e tre indietro. Una Babele di dichiarazioni, sentenze, pareri, decreti. Tutto e il contrario di tutto. Povera A22, come la stanno trattando.

La questione è talmente tecnica che difficilmente un cittadino non addetto ai lavori ci ha capito qualcosa. E così – nell’ignoranza dell’opinione pubblica – tra Trento, Bolzano, Roma e Bruxelles si sta giocando una partita delicatissima che riguarda l’infrastruttura regionale più importante di tutte, l’autostrada che unisce nord e sud dell’Europa, la principale porta di accesso commerciale e turistica d’Italia. La data fissata sul calendario è il 29 dicembre: senza un accordo (politico più che tecnico), l’autostrada dei trentini rischia (questa volta per davvero) di finire sul mercato.

In proroga da sei anni

La concessione dell’A22 è scaduta nel 2014 e da allora è in regime di proroga. Questo vuol dire che la società esercita solo l’ordinaria amministrazione. Non aumenta i pedaggi, ma non può fare investimenti, nonostante abbia pronto nel cassetto un piano di opere da 4 miliardi di euro. Inutile ripercorrere qui tutte le tappe della telenovela. Basti sapere che nel 2016 tra soci pubblici di Autobrennero e Ministero delle infrastrutture e trasporti è stato siglato un Protocollo di intesa che in estrema sintesi prevede quanto segue: affidamento diretto della concessione trentennale ad A22, a patto che questa diventi una società totalmente pubblica (“in house”). Il senso è chiaro: visto che le due Province autonome e la Regione, quell’autostrada l’hanno pensata, realizzata e gestita negli ultimi 60 anni – e lo hanno fatto non per fare business, ma per garantire un servizio ai territori – è bene fare tutto il possibile perché la gestione continui a rimanere in mano agli stessi player. E - si badi – ciò è un bene anche per il Paese, poiché qui non stiamo parlando di un’arteria come le altre, ma di un corridoio strategico. Che presto – con il Tunnel del Brennero e le opere ad esso collegate che impatteranno pure sul nuovo sviluppo urbanistico di Trento e Rovereto - si arricchirà anche della parte ferroviaria, con la necessità di governare questo passaggio che porterà gradualmente le merci su rotaia.

Le divisioni

In questo quadro, come è evidente, sarebbe opportuno che i territori coinvolti marciassero come un suol uomo. E invece non è così. O, almeno, così non pare. Perché se l’Alto Adige con Kompatscher punta dritto al rinnovo della concessione attraverso la liquidazione dei soci privati di A22, il Trentino di Fugatti – rompendo il patto di ferro siglato tra Rossi e Kompatscher - ha sempre mostrato più sintonia con i soci del sud, orientati a percorrere la strada di una proroga decennale con opere. Ipotesi, questa, che ha però ricevuto un autorevole stop pochi giorni fa a Bruxelles, con il commissario italiano Paolo Gentiloni che ha definito non percorribile questa via in quanto la concessione è già scaduta e dunque non prorogabile.

Il nodo dei soci privati

Lo stesso Gentiloni, tuttavia, ha aperto un altro spiraglio, promettendo approfondimenti sull’ipotesi (caldeggiata a Roma dalla senatrice renziana Donatella Conzatti) di modificare l’articolo 13bis del decreto legge 148/2017 che prevede l’affidamento della concessione ad una società totalmente pubblica. La modifica a cui lavora Conzatti e su cui sta ragionando l’Europa, invece, prevederebbe di rendere meno rigido l’articolo 13bis, permettendo il mantenimento dei privati dentro la società in house a patto che siano in una quota tale da non poter incidere sulle scelte della governance e che non partecipino alla divisione degli utili (entrambe le cose già avvengono o sono previste per A22).

Questa che sembrerebbe la via più semplice per risolvere il nodo concessione, nel governo non ha però mai trovato estimatori. C’è chi dice per la contrarietà del M5S, che da sempre vede come fumo negli occhi la presenza di privati dentro le concessionarie di Stato. E chi invece attribuisce alla ministra dei trasporti Paola De Micheli la volontà di portare a casa la concessione “pura” a tutti i costi per ritagliarsi una medaglia da mettere sul piatto in caso di rimpasto di governo che – secondo alcune voci - la vedrebbe sacrificata.

Il nodo dell’articolo 13bis

Ma a prescindere dalle letture politiche, c’è invece chi sostiene l’impercorribilità tecnica della strada dell’articolo 13bis. Come l’ex governatore Ugo Rossi, secondo il quale il vincolo di una società totalmente pubblica sarebbe insuperabile nella fattispecie dell’A22 poiché la direttiva europea che ha ispirato l’articolo 13bis prevede una presenza di privati solo e soltanto qualora l’ente concedente (il Ministero) affidi la concessione ad una propria società. Ma non è il caso di Autobrennero.

La Corte dei conti

Su tutto, poi, pesa il macigno della Corte dei Conti, cha ha già quantificato in 70 milioni di euro il valore massimo delle quote dei privati (che invece ne chiedono 160) ed è pronta a partire in quarta con un’azione per danno erariale contro i membri del cda nell’ipotesi di una liquidazione più generosa. Per non parlare degli stessi soci privati, a loro volta pronti ad impugnare il riscatto delle proprie quote davanti al giudice civile.

Le resistenze in A22

A questo si aggiungono le resistenze interne che la società Autobrennero ha sempre tacitamente manifestato negli anni. E il motivo è ovvio: diventando totalmente pubblica, A22 dovrebbe rivedere molto al ribasso gli stipendi interni, e i manager perderebbero quella libertà di movimento di cui hanno sempre goduto finora in quanto società di diritto privato.

Ora serve una linea comune

Insomma un caos normativo, giuridico e politico sulla “pelle” dell’infrastruttura più strategica della Regione. Una posizione comune dei territori nella trattativa con Roma, quindi, oggi diventa di vitale importanza. Lo diventa ancor più dopo l’ultimatum del 29 dicembre imposto dalla ministra: o società in house con riscatto delle azioni private o sarà gara europea. C’è bisogno di ricompattarsi attorno alla logica di corridoio rappresentata da A22. Se non riescono a trovare spiragli a Roma, i soci pubblici trovino almeno una soluzione interna condivisa. Mettano al riparo la governance da eventuali azioni della Corte dei Conti e si accetti il rischio di un ricorso. Sul tappeto c’è molto di più di una causa per danno erariale. C’è la possibilità di continuare a gestire qui, in casa nostra, un’infrastruttura che ci appartiene. Da 60 anni.













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