«Va sviluppata una rete circolare di riciclo rifiuti» 

L’opinione. Legambiente interviene sulle affermazioni del presidente di Amnu che parlava  di utilità di discariche e inceneritore. «Serve invece una filiera per il recupero di quanto lavorato»


Maddalena Di Tolla Deflorian


Pergine. Amnu aveva annunciato nei giorni scorsi una variazione, con lievi aumenti delle tariffe (nella parte variabile) e riduzioni per la quota fissa, per la gestione dei rifiuti urbani. Avevamo riportato le riflessioni del presidente della società Alessandro Dolfi. Interviene adesso Legambiente Trento con alcune riflessioni che ampliano il ragionamento.

«Il comunicato di Amnu sulle tariffe per la gestione dei rifiuti ci ha colpiti per la conclusione - spiegano i vertici del Circolo Legambiente del Trentino -. Prima di tutto vogliamo ricordare che Amnu ottiene, grazie alla collaborazione dei cittadini, eccellenti risultati: nel 2020 è stata premiata da Legambiente per “Comuni Ricicloni”, come miglior consorzio italiano, con la minima produzione di rifiuti indifferenziati pro-capite e massima percentuale di raccolta differenziata in Italia. Risultati che permettono un costo relativamente basso per i cittadini. Non abbiamo quindi motivo di dubitare dell’aumento dei costi (derivante, come riportato nel comunicato, dalle difficoltà nel mercato delle materie differenziate, causate a loro volta soprattutto dalla chiusura della Cina all’importazione di plastica e altri materiali riciclati) e della necessità dell’aumento delle tariffe, e anche dell’impatto sui costi del trasporto del rifiuto indifferenziato ad impianti di smaltimento fuori regione».

Le perplessità di Legambiente riguardano invece le conclusioni che Alessandro Dolfi, aveva scritto. L’associazione condivide che sia necessario abbattere la produzione dei rifiuti, con l’impegno dei cittadini ma anche delle pubbliche amministrazioni, della produzione e della distribuzione.

«Nella seconda conclusione Dolfi invece sembra suggerire che sarebbe utile realizzare discariche e inceneritori sul nostro territorio per diminuire i costi dello smaltimento. Al di là considerazioni ambientali, questo non sarebbe utile sul piano dei costi. Un inceneritore richiede grossi investimenti, in particolare per tutte le linee necessarie per limitare le emissioni inquinanti, il cui costo si ripaga solo se le quantità in entrata sono rilevanti. Ricordiamo che il progetto della Provincia prevedeva inizialmente un impianto da circa 300.000 tonnellate all’anno, mentre le quantità di rifiuto indifferenziato attualmente prodotte in provincia sono di circa 60.000 tonnellate all’anno. Gestire un inceneritore con quantità simili farebbe certamente aumentare i costi, non diminuirli».

Cosa serve dunque fare, secondo Legambiente? Lo spiegano gli attivisti. «Il miglioramento e completamento della rete di impianti di riciclo, lo sviluppo di una vera economia circolare. A questo scopo, mancano ancora alcuni dei decreti “end of waste” che permettono l’uscita dalla qualifica di rifiuto dei prodotti riciclati correttamente e quindi il loro riutilizzo. D’altra parte, gli obblighi previsti dalla normativa sul Green Public Procurement di “acquisti verdi” sono disattesi ancora dal 30% delle amministrazioni comunali».

Serve insomma – conclude l’associazione ambientalista - incentivare filiere del recupero delle materie risultanti da raccolta differenziata, «per evitare di dipendere da intermediari. Anche in provincia abbiamo esperienze interessanti, altre stanno nascendo, ma un’azione della Provincia, anche con i fondi della Next Generation Europe, potrebbe farne nascere altre». Il beneficio sarebbe anche sulle tariffe pagate dai cittadini per la gestione dei rifiuti.













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