IL MONITO

Primo maggio, messa a Pergine per l’arcivescovo Tisi: “Non c’è futuro senza i lavoratori. L’economia sia subordinata alle persone”

Don Lauro: “La pandemia ha pesantemente sconvolto una parte consistente del mondo del lavoro. Non voltiamoci dall’altra parte, ma sentiamoci tutti interpellati, soprattutto chi è in condizione di produrre occupazione, servizi, formazione”

LE IMMAGINI: L'omelia dell'arcivescovo nella chiesa di Pergine


di Claudio Libera


PERGINE. “La pandemia ha pesantemente sconvolto una parte consistente del mondo del lavoro. Penso ai lavoratori stagionali e a quelli per cui il tempo determinato è ormai inesorabilmente scaduto. Penso ai tanti che nascostamente, senza rumore, stanno vivendo un vero dramma personale e famigliare. Questa loro tenace dignità chiede ora a noi, con forza, di non voltarci dall’altra parte, ma di sentirci tutti interpellati, nessuno escluso, soprattutto chi è in condizione di produrre posti di lavoro, servizi, formazione”.

E’ questo un passaggio dell’omelia dell’arcivescovo Lauro Tisi nella messa per il 1° maggio, san Giuseppe lavoratore e Festa del lavoro, nella chiesa parrocchiale di Pergine Valsugana su iniziativa delle parrocchie del perginese e delle Acli trentine.

Primo maggio, l'arcivescovo Tisi celebra a Pergine

Don Lauro “Non c’è futuro senza i lavoratori. L’economia sia subordinata alle persone”. E ancora: Non voltiamoci dall’altra parte, ma sentiamoci tutti interpellati, soprattutto chi è in condizione di produrre occupazione, servizi, formazione” (foto di Claudio Libera). LEGGI L'ARTICOLO

Nella storia del falegname Giuseppe, uomo alle prese con l’imprevisto (come lo è la pandemia), affrontato sempre con bontà d’animo e grande senso di responsabilità, don Lauro vede un invito a “non cavalcare la frustrazione, la rabbia, il disagio delle persone per meri interessi di bottega”, ma anche “una salutare provocazione per il mondo della politica e dell’economia a immaginare un futuro con i lavoratori e non senza di loro. Un futuro dove la partita economica sia subordinata alle persone perché senza le persone non si riparte e non si crea alcuno sviluppo”.    

La vita di San Giuseppe, come confermano gli indizi biblici, è segnata dall’imprevisto: una gravidanza inspiegabile, l’esperienza del migrare da profugo in Egitto, così come il ritrovarsi “spiazzato” di fronte al figlio adolescente.

In questo lungo tempo di pandemia, la vita dell’intera umanità ha dovuto fare i conti con l’imprevisto, l’inatteso, il sorprendente. Ricordandoci, in questo, come la vita non sia mai sotto il nostro pieno controllo.

Come si è muove Giuseppe di fronte all’imprevisto? Non dà sfogo alla rabbia, ma rimane un animo buono che non cerca vendette, compensazioni, rivalse: “non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto”. (Mt 1,19) Per questo viene indicato come uomo giusto.

Quanto abbiamo bisogno in questo momento di far nostro il suo stesso atteggiamento e non cavalcare la frustrazione, la rabbia, il disagio delle persone per meri interessi di bottega!

La pandemia ha pesantemente sconvolto una parte consistente del mondo del lavoro. Penso ai lavoratori stagionali e a quelli per cui il tempo determinato è ormai inesorabilmente scaduto. Penso ai tanti che nascostamente, senza rumore, stanno vivendo un vero dramma personale e famigliare. Questa loro tenace dignità chiede ora a noi, con forza, di non voltarci dall’altra parte, ma di sentirci tutti interpellati, nessuno escluso, soprattutto chi è in condizione di produrre posti di lavoro, servizi, formazione.

Giuseppe prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto (Mt 1,14). Egli è l’uomo che si assume fino in fondo le proprie responsabilità. In lui vedo una salutare provocazione per il mondo della politica e dell’economia a immaginare un futuro con i lavoratori e non senza di loro. Un futuro dove la partita economica sia subordinata alle persone perché senza le persone non si riparte e non si crea alcuno sviluppo.

Giuseppe ha conosciuto l’esperienza del migrante. Tra chi perde il posto di lavoro, molti sono migranti. Vi invito, ancora una volta, a considerare quanto essi siano parte integrante del nostro sistema economico e contribuiscano in modo determinante al nostro welfare. In quest’ora di difficoltà, abbandonarli e voltarsi dall’altra parte sarebbe una colpa imperdonabile.

Andò ad abitare in una città chiamata Nazareth (Mt 1,23). Come Giuseppe, anche noi siamo chiamati ad abitare in modo nuovo il mondo del lavoro, così come l’ambito politico ed economico. Questo “modo nuovo” ha il volto del falegname di Nazareth che, nella misura in cui viene accolto, trasforma la Storia e le relazioni. Ce lo testimoniano le parole della volontaria laica uccisa in Perù: “La felicità viene dal dare, non dall'accumulare, viene dal regalare. Un sorriso, un gesto, questo arricchisce anche te”. Non avremo futuro fuori da questa logica.

 













Scuola & Ricerca

In primo piano