Le grandi firme e il loro 11 ideale / Enrico Brizzi


di Carlo Martinelli


Non ha bisogno di presentazioni. Enrico Brizzi per il suo undici ideale ha scelto una “formazione fantasmagorica, diseguale per mitografie, come conviene agli 11 che mai dovranno scendere in campo a difendere uno striminzito pareggio. Il modulo prescelto è un sognante, imprudentissimo, 4-2-4 alla brasiliana”. 

1. Dino Zoff. “Calcisticamente anziano, accusato dai miscredenti di essere vulnerabile sui tiri da fuori, era per noi bambini d’Italia lo zio affidabilissimo, prova vivente che i quarantenni potevano ancora saltare le staccionate. La coppa alzata nel cielo del Bernabeu dimostrò che tutto era possibile. Brucia ancora l’esclusione politica dal ruolo di Commissario tecnico, ingiustizia”.  

2. Francesco Moser. “Per noi giovanissimi, l’incarnazione della virilità. Sceriffo più carismatico e letale di Clint Eastwood, faticatore strenuo e senza fronzoli, sarebbe stato bellissimo, una volta cresciuti, diventare come lui. Il rivale Saronni, con tutto il rispetto per una superba carriera, al confronto pareva un seminarista prestato alla bici. Vederlo dal vivo fu la mia più grande emozione precedente alla pubertà”. 

3. Marco Pantani. “La certezza  che il novero degli assi non si limitava ai ricordi d’infanzia: gli dei erano ancora fra noi, sublimi e feroci, e parlavano romagnolo. Avevo 24 anni quando mi regalò la gioia di un pomeriggio parigino diverso, agli  Champs Elysées; meno di un anno dopo, il complotto più losco di cui si abbia memoria lo precipitò nella polvere. Mi piace, nella bruma dell’inverno riminese, andare a omaggiare il Pirata sotto la locanda dove morì, e da lì fare dietrofront per spingermi sino al monumento che lo immortala nella sua Cesenatico”. 

4. Carlton Myers. “Chi vive a Bologna si trova di fronte a un bivio cestistico: tifare i Biancoblu della Fortitudo o sostenere l’altra squadra cittadina, ricco palmares e puzza sotto il naso? Feci la mia scelta: qualunque cosa accada mai, mai, mai con la Virtus.  Chi condivide la mia simpatia per la Fortitudo è abituato a soffrire. Il riscatto, dopo catastrofiche beffe, nella primavera 2000. La Fortitudo di Carlton, Fucka e Basile conquista il primo scudetto. Svegli tutta la notte”.

5. Ray Sugar Leonard.  “Sono tre i motivi che potevano spingere un ragazzino a puntare la sveglia nel cuore della notte per seguire un incontro di boxe da Las Vegas: la saga di Rocky, l’ipnotica voce di Rino Tommasi e l’interpretazione peculiare della “noble art” fornita da Ray Sugar Leonard, possibilmente contro uno dei supercattivi che trovò sulla sua strada: “Cobra” Hearns e Roberto “Mani di pietra” Duran. Raggiunse fama planetaria il 6 aprile 1987 contro Marvin Hagler. Cercatelo in Rete, spettacolo epico”.

6. Gianni Brera. “È stato il primo a dimostrarmi che si poteva essere dei fuoriclasse della lingua parlando di sport - guai a dirlo alle professoresse del liceo! - e il primo a farmi capire che lo sport non si svolge in televisione, ma è sempre figlio d’un territorio. Complice il fatto che ha scritto tantissimo quando ancora ero troppo piccolo, mi godo ancora certi suoi scritti col brivido di affrontare un inedito”.

7. Nanni Balestrini.  “A vent’anni lessi il suo “I furiosi”, a rate e a sbafo in libreria. Quel testo m’apparve la saldatura fra le nostre avventure domenicali da “Supertifo” e la letteratura delle avanguardie. Se lui, sperimentatore affermato, si rivolgeva a un fenomeno giovanile come quello delle curve calcistiche, era la prova che quel che sentivo non era un’eresia: a dispetto di quel che giuravano i benpensanti, le gradinate popolari per noialtri ragazzi potevano essere davvero il luogo più democratico e fertile del mondo”. 

8. Nelson Piquet. “Perché in Formula 1, ai tempi in cui gli incidenti si sprecavano e ogni partenza era un’emozione, decisi di tifare Piquet, un brasiliano che correva sulla Brabham, invece di Lauda o Andretti, Mansell o Prost, Alboreto o Rosberg senior? Giuro che non lo so. Mi sembrava più rock e noncurante degli altri, ecco tutto; e per uno che rischia la vita ogni due settimane, mettersi alla guida d’una monoposto con l’aria di uscire a fare un giro al parco può obiettivamente risultare irresistibile”.

9. Zico. “Chi l’aveva mai visto giocare, Zico, se non qualche spezzone su Koper/Capodistria con la maglia del Flamengo? Eppure, in un’epoca senza la Rete e la tv via satellite, bastavano quegli sprazzi di classe e qualche foto sul Guerino per avere la certezza che quel brasiliano bianco era il 10 più forte del mondo. Un attimo prima di Platini, due di Maradona, il fuoriclasse per eccellenza era lui. Il suo scalpo fu il trofeo più prezioso nel pomeriggio al cardiopalma di Italia-Brasile 3-2”.

10. Roberto Baggio. “La bellezza apollinea nel calcio, la fantasia pura, e insieme la tempra dello stoico capace di risorgere dopo infortuni catastrofici. Il tutto, vissuto con l’aria distratta - non già svagata, semplicemente concentrata su altro - di chi dal calcio non vuole altro che giocare, giocare come non giocò mai nessuno, e poi levare il disturbo per occuparsi d’altro, caccia o meditazione. Era in prestito da un altro mondo, Robi Baggio, l’uomo al quale mancò solo un rigore per essere perfetto”.

11. Vincenzo Nibali. “Ancor prima che lo Squalo diventasse il più titolato ciclista italiano del XXI secolo, tifavo per lui. E il giorno in cui vinse il Tour, mi sentii per la prima volta vecchio. Ero al mare con le mie figlie e le obbligai ad assistere alla premiazione: “Imprimetevi questo momento nella memoria, la vittoria più prestigiosa da quando vostro padre, nel 1998...” Passano pochi minuti, il  telefono squilla. Chiedono se me la sento di scrivere la biografia di Nibali insieme a lui. Accetto. Mi ha raccontato la storia che potete leggere in “Di furore e lealtà”. La sua vita è uno splendido romanzo di formazione”.

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Bolognese, classe 1974, Enrico Brizzi si è fatto conoscere, ventenne, col fulminante romanzo “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, uno degli esordi più clamorosi nella narrativa italiana del dopoguerra, tradotto in 24 Paesi. Da allora la sua carriera è stata punteggiata da romanzi, saggi, guide, volumi illustrati, testi per ragazzi, decine di traversate e camminate a piedi (con gli “Psicoatleti”), collaborazioni discografiche e cinematografiche, la presidenza della giuria del premio letterario Itas del Libro di Montagna di Trento. Nel percorso letterario di Brizzi grande spazio allo sport: nel 2015 ha vinto il Premio Bancarella con “In piedi sui pedali” che ha per protagonista Francesco Moser. Nel 2015 con l’editore Laterza ha dato il via ad una trilogia di volumi sulla storia del calcio in Italia, dal 1887 al 1950: “Il meraviglioso giuoco”, “Vincere o morire”, “Nulla al mondo di più bello”. E sempre il calcio, immaginando una storia d’Italia “alternativa”, è protagonista del romanzo ucronico “L’inattesa piega degli eventi” del 2008. Scrive sul “Foglio sportivo” del sabato.













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