Nata nel castello, Elena Munerati racconta una vita vissuta d’un fiato
A contatto con l’arte fin da bambina, ha scelto con determinazione la strada della fotografia. Che l’ha portata lontano
TRENTO. Amore per la bellezza, per lo sguardo inedito che nessuno s’aspetta (poi tradotto in fotografia), per le storie che danno senso alla vita (divenuto ben presto letteratura) sono passioni che l’hanno accompagnata fin da bambina e adolescente. Certo non capita a tutti di nascere in un posto di magnifico fascino qual è il Castello del Buonconsiglio!
Lei, Elena Munerati, è nata nel Magno Palazzo sul lato est, quello prospiciente il giardino. Ragazza fortunata Elena, giovane campionessa d’atletica, donna coraggiosa che ha scelto la propria autonomia, di pensiero, innanzitutto, ma anche economica in un tempo in cui non era facile scegliere di vivere seguendo i propri desideri. La sua anima ha potuto respirare bellezza fin da piccola nelle sale che Giuseppe Gerola liberava dalle armi per togliere ogni traccia di caserma e restituirci un patrimonio storico artistico di grandissimo valore.
Come mai lei, le sue sorelle e i suoi fratelli siete nati nel Castello del Buonconsiglio?
Mio papà, Antonio, dodici anni prima che io nascessi, era responsabile, in qualità di maresciallo d'artiglieria a cavallo, della caserma che ancora occupava gli spazi del maniero. Era la fine della prima guerra mondiale e papà, al comando di 50 soldati, soprintendeva alle tante armi e agli spazi adibiti a ricovero delle truppe che snaturavano, occupandolo, il Castello.
La sua, la vostra, è stata un’infanzia molto particolare: giocare in una casa che è un castello, non è cosa da tutti, non ai nostri tempi a meno di non essere discendenti di famiglie nobiliari...
Credo che la nostra infanzia ci abbia arricchiti molto, anche attraverso il gioco. Protetti dalle mura del Castello, in un silenzio e profumo che ora si può solo ricordare, giocavamo in un contesto ricco e fantastico che però, per noi, era normale. Altri tempi. Ma quel tempo ha coltivato l'anima di tutti noi, la mia è senz’altro stata nutrita da ciò che lì dentro ho respirato dalle storie che vedevo raccontate sulle pareti delle sale.
Come spesso accadeva a tutti i bambini facevate anche giochi piuttosto pericolosi… cosa vi eravate inventati nella loggia gotico-veneziana, in Castelvecchio?
Parliamo di tanti anni fa, ben oltre mezzo secolo, saltavamo da una colonnina all’altra, dall’interno, era così emozionante, e la città era là sotto...
Ma com’è che si è appassionata alla fotografia, quelli non erano anni in cui le donne potevano scegliere tante strade diverse dal matrimonio che, per molte donne, significava anche assertività quasi totale al marito.
Credo che il nostro carattere, l’autonomia di pensiero, si formino già da bambini, io sono sempre stata una bambina molto autonoma e determinata. Il mio maestro fotografo è stato Rodolfo Rensi.
Elena Munerati tanto determinata anche nello sport, era una campionessa di atletica. Ottone ‘Bill’ Cestari nel suo libro ‘La regina dello sport, l’atletica leggera nel Trentino -Alto Adige 1870-1994’ le dedica parecchio spazio, definendola la ‘bravissima Munerati’
Sì, ad un certo punto avevo ben quattro primati regionali, nei 100, 200 piani, nel salto in lungo e nel pentathlon. Peraltro questa ‘prodezza’ - l’ha definita Bill - è rimasta a lungo imbattuta nell’atletica leggera femminile. Mi piaceva.
Da Rodolfo Rensi ha imparato a documentare attraverso ‘l’occhio meccanico’ ma è andata molto oltre: la sua fotografia è divenuta arte. Lia Camerlengo nel catalogo ‘In viaggio verso l’ignoto’ descrive con parole bellissime e appropriate il suo linguaggio fotografico: ‘sguardi come chiave di tutto, segreto dell’esistenza’. Ci racconta come nacque quella magnifica foto dedicata alla Bambolina dei Paradisi?
Una lunga storia quella dei reperti archeologici di Via Paradisi: il professor Rasmo ci fece avvertire da Bruno, l’operaio/giardiniere del Buonconsiglio, di andare a documentare quella fantastica scoperta, era il mese di luglio 1967. Oltre 20 anni dopo, nel 1990, l’Ufficio Beni Archeologici della Provincia autonoma di Trento mi ha incaricata di realizzare l’intera documentazione fotografica per la mostra dedicata alla tomba della bambolina (dove era sepolta una fanciulla di 12/13 anni) “Ai Paradisi”. Una grande emozione prender in mano quei reperti. Senza nemmeno rendermene conto, mi sono trovata a dialogare mentalmente con quella fanciulla, quasi come se il tempo fosse annullato.Forse stavo compiendo gli stessi gesti di sua madre: posare le lucerne per illuminare il cammino eterno, il gioco con la bambolina, le vesti, gli spilloni per intrecciare i capelli.
Poi mi venne chiesto di scegliere la foto per il manifesto della mostra… la bambolina era lì, l’avevo illuminata bene, camminava verso di noi, in quel tempo che è rimasto sospeso.
E la letteratura che posto ha nella sua vita?
La letteratura è tutto, colma l’anima e il cuore, la letteratura contribuisce in maniera determinante a dare senso alla vita. Sempre. Anche i carcerati possano volare, sognare, amare, gioire e commuoversi fino alle lacrime con la letteratura. La letteratura è la luce della vita.
“Principessa della bellezza”: l’anima, l’arte, la dignità, le relazioni umane, le passioni, l’approccio e il modo di vivere di Elena Munerati. La sua strada non è mai stata facile e il suo vivere controcorrente, specie negli anni centrali della sua vita, che hanno voluto dire tanta, tanta fatica. E, manco a dirlo, lei è stata fra le prime “vittime” di quel tetto di cristallo di recente “istituzione”. E ciò rimane, ancora, vergognoso. Ma Elena di strada ne ha fatta tanta. Se non conoscete le sue opere fotografiche provate a cercarne i cataloghi, come per esempio, “Il nome della rosa, Torre Aquila nelle immagini di Elena Munerati” curato da Lia Camerlengo e Carmen Calovi. Poche settimane fa, inoltre, a “Pulk spazio creativo” erano esposte alcune sue fotografie che sono in vendita. Si tratta di sguardi affascinanti di una donna che ha avuto il coraggio di vivere.