L’arte racconta identità alpina e clima 

La mostra a Palazzo Trentini. Esposte 80 opere di 56 artisti, da fine Ottocento ai giorni nostri: da Umberto Moggioli a Luigi Bonazza, dai ritratti  di Cesarina Seppi alle avanguardie del ’900 con Depero e Schweizer. Soraperra accosta Andreas Hofer a Dante, simboli dell’Heimat e dell’italianità


Sandra Mattei


Trento. Dalle vedute alpine trasfuse di luce e di significati simbolici, come quelle di Bartolomeo Bezzi ed Eugenio Prati agli effetti disastrosi dei cambiamenti climatici. E' la panoramica della rappresentazione artistica della cultura alpina dalla fine dell'Ottocento ai giorni nostri attraverso 56 artisti trentini. Un bello sforzo, a livello di collaborazione tra diversi enti pubblici e privati e di sintesi di quello che l'arte trentina ha prodotto nell'esprimere la sua identità. E' questo l'obiettivo che si pone la mostra “Alpicultura. La rappresentazione dell'identità alpina nell'arte trentina dalla fine dell'800 ai giorni nostri” inaugurata ieri a Palazzo Trentini con il patrocinio del consiglio provinciale, curata dall'esperto d'arte Massimo Parolini, con i contributi di Giovanni Kezich, direttore del Museo degli Usi e costumi di San Michele e del critico Roberto Pancheri.

Impossibile citare tutti gli artisti esposti, per un totale di 80 opere, sviluppate in un arco temporale per cui la montagna, da elemento scelto come sfondo o come evocazione dell'orrido, diventa finalmente protagonista della pittura, degna di una valenza estetica ed emotiva. Come ha spiegato il curatore Parolini, dopo il saluto del presidente del consiglio provinciale Walter Kaswalter, è solo alla fine dell'Ottocento, con il Romanticismo ed il concetto del sublime che le Alpi acquistano una loro dignità, esaltate dal loro massimo cantore che è stato Giovanni Segantini. Nel suo solco si inseriranno i paesaggi della Valle di Sole di Bartolomeo Bezzi e quelli rurali della Valsugana di Eugenio Prati, per poi passare alle vedute originalissime di Umberto Moggioli, alle pennellate divisioniste di Luigi Bonazza, per via via ripercorrere le figure stilizzate di Tullio Garbari, le incisioni di Dario e Remo Wolf, i ritratti (e autoritratti) di Cesarina Seppi ed arrivare alle avanguardie del Novecento da Fortunato Depero a Riccardo Schweizer, da Luigi Senesi a Paolo Vallorz. La montagna, dunque, vista in tutte le sue valenze culturali: da lavoro nei campi (vedi Carlo Sartori e Bruno Colorio), alla devozione religiosa (come nei dipinti di Remo Wolf e Marco Berlanda), alle imprese alpinistiche (come i due busti inediti di Eraldo Fozzer dedicati allo scalatore Adriano Dallago), alla ricerca di un'identità incerta (emblematica l'opera di Claus Soraperra de la Zoch, che accosta un Andreas Hofer a Dante, simboli dell'Heimat e dell'italianità).

Chiude il cerchio una scultura di Giuliano Orsingher, artista del Vanoi che ha sempre fatto uso della materia e che ha voluto di recente rappresentare i disastri della tempesta Vaia, utilizzando e riassemblando tronchi erosi dalla furia del vento. La mostra è arricchita da un omaggio a Giuseppe Sebesta, instancabile cultore della manualità e delle tradizioni dell'homo faber alpino, una ricerca antropologica unica nel suo genere custodita nel Museo degli usi e costumi.













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