«C’è il Covid, la Costituzione non si tocca» 

Il braccio di ferro con Roma. L’altolà alla clausola di supremazia arriva da Francesco Palermo, già senatore (con il centrosinistra) e docente di diritto: «Negli ordinamenti più avanzati si proibisce questo tipo di riforme quando ci si trova in emergenza, ovvero sotto spinte emotive»


Gianpaolo Tessari


Trento. «nel bel mezzo di una pandemia la Costituzione non si può toccare». Francesco Palermo, docente universitario di diritto, è stato senatore per le Autonomie nel centrosinistra. Ma sulla proposta del Pd di introdurre una clausola di supremazia a favore dello Stato, Palermo è per un no grande come una casa.

Professore, nella relazione alla legge depositata alle due Camere si assicura che la clausola di supremazia è una sorta di consuetudine per gli Stati federali...

É presente in molti ma non in tutti gli Stati. C’è talvolta una clausola di supremazia della legislazione federale, ma però non ha questo tipo di forma che si vuole introdurre con il disegno di legge del Pd.

In cosa differisce?

Qui si dice che lo Stato può intervenire anche nelle materie di competenza delle Regioni. E questo non è assolutamente il caso. Ma non solo. C’è anche un secondo aspetto.

Quale?

C’è già un principio che la Corte costituzionale ha affermato nel 2003, quindi questo tipo di salvaguardia ce l’ abbiamo già nell’ordinamento. Ma c’è il punto più importante, che nel dibattito di questi giorni non mi pare nessuno abbia sollevato: si parla di cambiare la Costituzione nel bel mezzo della pandemia.

Roma non nega di voler accelerare per evitare il tira e molla coi governatori sulle scelte Covid.

Appunto. Ci sono Costituzioni molto più avanzate della nostra nonostante ci sia chi, a torto, ritiene che la nostra è la più bella del mondo. In realtà è molto arretrata in alcuni aspetti. Altre Costituzioni contengono delle clausole esplicite che proibiscono di modificare la Costituzione nelle situazioni di emergenza. Proprio perché, non solo in Italia ma qui probabilmente più che altrove, in emergenza si lavora sotto spinte emotive. Ed in questi giorni mi pare sia questo assolutamente il caso. La vera riforma sarebbe quella di introdurre la non possibilità di fare cambiamenti in periodi come questo. Mi è rimasto impresso un articolo uscito qualche giorno fa a firma Ernesto Galli della Loggia: come spesso accade dice che il Titolo V, quello che riconosce le autonomie locali è una sorta di male assoluto, da cancellare.

Voce non solitaria

E infatti molti lo hanno seguito, ancora una volta, in questo ragionamento che mi si permetta di definire delirante. C’è un “sentiment” diffuso in Italia contro le autonomie. E non è neanche la prima volta che si prova a presentare un disegno di legge costituzionale di questo tipo. Non credo farà molta strada. Però è molto indicativo di un’assenza di cultura dell’Autonomia, presente a destra come pure a sinistra.

Quindi lei, che è stato senatore del centrosinistra, non si iscrive alle fazioni in lizza: non è dunque una questione strettamente politica?

No, no. Il centralismo è assolutamente trasversale. Ed i più centralisti di tutti sono i Cinquestelle. E se è vero che l’ultima riforma del Titolo V è stata fatta dal centrosinistra, si tratta di un caso. Nel senso che serviva in quel momento.

Ci sarebbe in legge almeno il pregio di costituzionalizzare la Conferenza Stato-Regioni.

Ma ormai esiste dal 1983 questa Conferenza. Si è ovviato ampiamente al fatto che non sia in Costituzione. Se si decide di metterla lo si faccia, ma non sarebbe certo sufficiente a compensare una clausola di supremazia. Questa riforma che si tradurrebbe in un vero e proprio stravolgimento.













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