accoglienza

Donne e bimbi nei conventi vuoti: le suore aprono ai profughi. Anche ad Arco

"Il monastero è di clausura - ha detto la priora suor Anna Di Domenico - ma non è chiuso alle persone. E gli spazi che non utilizziamo sono il superfluo"


di Gabriele Santoro


ARCO. Dalle sirene antiaeree al silenzio dei chiostri: sempre più conventi, monasteri e strutture religiose in tutta Italia mettono a disposizione i loro spazi per accogliere i rifugiati ucraini.

Accade già, per esempio, nel Piacentino, ma anche in Sardegna, nel Lodigiano, in Trentino e nella Cascia di Santa Rita. E c'è da credere che il fenomeno aumenterà ancora: c'è il sentimento religioso della carità, c'è una tradizione secolare di accoglienza ai più deboli in fuga, e naturalmente c'è anche la frequente sproporzione tra le dimensioni delle strutture e il numero degli abitanti, spesso ultimi custodi di storiche comunità, un tempo ben più vaste.

Se a questo si aggiunge che i rifugiati ucraini nella stragrande maggioranza sono donne sole con bambini piccoli, e dunque più adatti ad accomodamenti intimi e protetti, e che le autorità nazionali tendono a favorire (e presto a sostenere) la diffusione capillare dei rifugiati coinvolgendo le realtà del territorio, ecco che monasteri e conventi sembrano una delle soluzioni migliori.

E c'è, ovviamente, lo slancio personale di generosità. Come è successo a Casaliggio, nel Piacentino, dove le anziane Scalabriniane dopo aver visto in tv le scene della guerra hanno fatto le valigie e, sebbene ottantenni e novantenni, hanno fatto spazio alle profughe per andare a vivere in un'altra comunità.

"Abbiamo aperto per loro le porte della nostra casa e ci stiamo prendendo cura di loro - spiega suor Milva Caro, superiora provinciale delle Scalabriniane in Europa -. La loro volontà nel fare qualcosa per le rifugiate ucraine è stata così grande che hanno deciso di lasciare spazio a chi fugge dalla guerra".

Anche a Mulazzano, in provincia di Lodi, è accaduto qualcosa di simile: le suore della Carità hanno messo a disposizione un loro immobile su più piani da riconvertire in alloggio per chi scappa dall'Ucraina. In questo caso è intervenuto anche il Comune, lanciando un appello per la ristrutturazione dei locali: hanno risposto un elettricista, un idraulico e un muratore, e tanti hanno dato una mano a pulire.

Sono stati accolti dalle suore, le Vincenziane di Quartu Sant'Elena, anche parte degli ottanta profughi - soprattutto bambini e adolescenti delle case famiglia ucraine - arrivati ai primi di marzo in Sardegna. Ci sono poi dieci profughi ucraini, tra cui sei bambini, che hanno trovato casa a Cascia, accolti dalle monache di Santa Rita in collaborazione con l'amministrazione comunale e la Caritas: "Sono vittime in fuga dall'orrore della guerra, che gli ha portato via tutto - ha detto la madre priora suor Maria Rosa Bernardinis - hanno bisogno di ritrovare serenità e speranza e con questa consapevolezza abbiamo aperto le porte del nostro monastero, decise a dar loro una casa sicura dalla quale ripartire".

In Trentino la diocesi ha già messo a disposizione le canoniche, e anche il convento delle Suore Servite di Arco ha aperto ai profughi.

Da gennaio le religiose ospitano una famiglia nigeriana in fuga, ma i letti non mancano: "Il monastero è di clausura - ha detto la priora suor Anna Di Domenico - ma non è chiuso alle persone. E gli spazi che non utilizziamo sono il superfluo". 













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