Le grandi firme e il loro 11 ideale / Andrea Maietti


di Carlo Martinelli


Necessaria premessa. 1953, Milano. Per la prima volta il giovane Maurizio Cucchi va allo stadio, a San Siro, con il papà. Anni dopo diventerà uno dei più grandi poeti italiani. E scriverà “’53”, versi dedicati proprio a quel giorno. Eccoli.

“L’uomo era ancora giovane e indossava / un soprabito grigio molto fine. /  Teneva la mano di un bambino / silenzioso e felice. / Il campo era la quiete e l’avventura, / c’erano il kamikaze, / il Nacka, l’apolide e Veleno. / Era la primavera del ’53, / l’inizio della mia memoria. /  Luigi Cucchi / era l’immenso orgoglio del mio cuore, / ma forse lui non lo sapeva.”

Quel giorno, a quella stessa partita, c’è Andrea Maietti. Anche lui con il papà, anche lui giovinetto, classe 1941 e dunque 12 anni all’epoca. Diventerà insegnante di lettere ma anche raffinato cronista e scrittore. Si meriterà l’amicizia di Gianni Brera che non esitò, un giorno, ad indicarlo come il suo “biografo ufficiale”. Da decenni racconta, dalle amate terre della Bassa Padana, lo sport con una misura e un pudore e un sentimento che a chi scrive appaiono spesso commoventi. A lui questa settimana chiediamo il suo undici ideale. Ecco, dopo amabile conversazione, la squadra ideale di Andrea Maietti.

 

1. Giorgio Ghezzi. “Lo vidi  per la prima volta a San Siro così come lo racconta il poeta Cucchi. Lo chiamavano il portiere kamikaze per come si gettava, nulla temendo, tra le gambe degli avversari. Una carriera a metà tra Inter e  Milan. Un giorno andai a trovarlo nel suo albergo, a Cesenatico. Il bambino che ero stato voleva dire al kamikaze quale emozioni gli avesse regalato.”

2. Tarcisio Burgnich. “Ho avuto due grandi amori calcistici. La prima Inter della mia vita, quella del kamikaze, appunto. Poi quella di Helenio Herrera, la Grande Inter. Dove c’era questo terzino roccioso. Uno di quelli che è giusto chiamare hombre vertical. Uomini tutti d’un pezzo. Anche nella sconfitta. Lo vidi superato da uno scatto di Gigi Riva, incontenibile. Nel suo riconoscere la superiorità dell’avversario c’era una umanità che me lo rendeva fratello”. 

3. Giacinto Facchetti. “Altro hombre vertical. Al battesimo del figlio aveva promesso di esserci Giovanni Arpino. Che non arrivava. A chi gli chiedeva, preoccupato, cosa fare, il gigante terzino dell’Inter e della nazionale, rispose: “Nella vita una parola è quella”. Arpino arrivò, naturalmente”. 

4. Gianni Brera. “Il mio libero. Perché era libero da schemi e da padroni. Nei primi anni Settanta una mia tesi sui suoi scritti dell’Arcimatto diventò un libro. Iniziò un sodalizio spezzato solo dalla sua morte. Mi chiamava ludesan linfatico. Inventore di parole, scrittore unico, gli dobbiamo tanto, tutti”. 

5. Aristide Guarneri. “Mai visto un calciatore così elegante e mai falloso. La sua era la stessa bellezza calligrafica di Gianni Bugno nel ciclismo. La sua riservatezza, il suo essere schivo, erano fuori dal comune. Ciò me lo rende più caro”. 

6. Enzo Bearzot. “Una cena a Milano, in trattoria. Si discute di uno spot che allora andava per la maggiore: life is now.  E il buon Enzo, indimenticabile pipa, indimenticabile mister, quasi si mette a gridare: macché, la vita era prima e sarà anche dopo, questi vorrebbero solo il presente, figurati….”

7. Stanley Matthews. “Nella mia prima partita vista in televisione, 1954, c’era lui, il Sir. Che giocò la sua ultima partita da professionista a 50 anni compiuti, ala elegante, un Garrincha ante litteram. Fantasia e correttezza non lo hanno mai abbandonato. Un grande vecchio. Vinse il primo Pallone d’Oro superando Di Stefano e Kopa…”

8. Fausto Coppi. “La mia mezzala di regia. Condivido il parere di Gian Paolo Ormezzano: Merckx il più forte, Coppi il più grande. Nel 1958 lo vidi correre in un circuito dalle mie parti. Andò in fuga, lo ripresero. Ho nitido il ricordo di un fantasma silenzioso che dopo averci accompagnato fino all’ultimo ci faceva capire che la favola era finita”.

9. Antonio Valentin Angelillo. “Mosse ed eleganza superiori. Brera a pochi calciatori ha dedicato pagine intere:  Riva, Rivera, Suarez e Angelillo. Non era un angelo dalla faccia sporca, come era chiamato, piuttosto un “dios de la pelota”. Con mio padre, a San Siro, contro la Sampdoria lo vedemmo segnare un gol al volo di indescrivibile forza e bellezza. Mio padre disse: andiamo via, è abbastanza”.  

10. Giovanni Lodetti. “Mezzala, gregario insostituibile. Nel Milan correva e toccava tutto di fino, a tutto campo. A fine carriera, per sei mesi giocò su un campetto di periferia dicendo che era un ceramista per via del giubbotto che indossava. Per caso scoprirono che era uno che aveva giocato anche in nazionale. Uno commentò: ve l’avevo detto io che era uno bravo…”

11. Karl Lennard Skoglund. “Nacka, l’attaccante svedese che gli interisti non dimenticheranno mai. Sembrava uscito da un verso di Dante:  biondo era e bello e di gentile aspetto. Sapeva palleggiare una monetina da dieci lire che riusciva poi a lanciare verso il taschino della giacca, centrandolo. Imparai a farlo anch’io. E al mio primo giorno da insegnante, in un liceo, conquistai l’attenzione e il silenzio degli studenti con quel giochetto da prestigiatore. Grazie Nacka”. 

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Così si autopresenta Andrea Maietti. “Nato casualmente a Milano, tra un bombardamento e l’altro della Seconda Guerra.  Le sue radici affondano nelle zolle di Costaverde (così ha ribattezzato Cavenago d’Adda, rustica perla di Lombardia).  Ha studiato di puntiglio per non spaccarsi la schiena nei campi come suo nonno pitalö (coltivatore diretto), e non vendere spagnolette come suo padre mercantìn (venditore ambulante). Ha scritto la sua prima poesia a otto anni, con il rassegnato commento di suo padre: “ Chel fiöl chì de soldi na farà pochi”.  Nel 1997 ha vinto con “La lepre sotto la luna” (Limina) il “Bancarella Sport”. Sempre  per Lìmina ha poi pubblicato libri dedicati  a  Bugno, Pantani, Rivera, Facchetti, Coppi.  In mezzo due cosiddetti romanzi: “Eskimo Blu”  e “Vi conterò di Mariellina”, che lui ritiene il suo lavoro migliore.  “Com’era bello con Gianni Brera” (Limina 2002) e “Gioânnbrerafucarlo” (Bolis 2019) sono due suoi omaggi a un maestro di scrittura e di vita". 













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