Vittorio, il miracolato di Lourdes: «Dovevo morire, in una notte il tumore è sparito» 

La guarigione inspiegabile. Nel 1962 la diagnosi senza speranza: osteosarcoma. Micheli, di Scurelle, era ormai senza una gamba, incapace  di deambulare senza le stampelle, quando fece un pellegrinaggio a Lourdes: «Qualche notte dopo mi alzai per fare pipì e incredibilmente camminai»


Alberto Folgheraiter


Trento. A quasi sessant’anni da quella guarigione misteriosa, quanto straordinaria, la medicina ha fatto grandi passi. Ma la ricostruzione improvvisa e duratura di un bacino devastato da un tumore osseo resta ancora quello che la fede cattolica chiama “un miracolo”. La medicina “laica” lo definisce un “evento scientificamente inspiegabile”. Il dottor Mario Botta, 75 anni, cardiochirurgo milanese, omonimo del celebre architetto svizzero, non ha dubbi: «Nel caso di Vittorio Micheli non si è trattato solo del rifacimento osseo come noi lo possiamo vedere nel consolidamento di una frattura. Nel suo caso assistiamo a una rigenerazione totale e normale dell’osso. Mezzo bacino si è riformato con le trabecole ossee orientate secondo le linee di carico e questo decampa dalle possibilità della traumatologia».

L’indagine del Bureau Médical

È quanto stabilì, dopo un’indagine durata alcuni anni, il Bureau Médical di Lourdes e quanto decretò, il 26 maggio 1976, l’Ordinario tridentino Alessandro Maria Gottardi (1912-2001, arcivescovo di Trento dal 1963 al 1987).

Erano passati tredici anni da quando si era manifestata la guarigione straordinaria di Vittorio Micheli, “l’alpino di Scurelle”, in Valsugana. Era la conclusione di un lungo processo, di una minuziosa indagine medico-scientifica, seguita, in parallelo, dall’esame delle autorità ecclesiastiche le quali, in queste vicende, adottano mille precauzioni e cercano tutte le spiegazioni possibili.

Il pronunciamento ufficiale della Chiesa cattolica seguiva di cinque anni le conclusioni del rapporto del prof. Michel-Marie Salmon (1903-1973) al Comité médical international de Lourdes che si era riunito a Parigi nel maggio del 1971. Eccole: «La malattia di Micheli era reale, certa, incurabile. L’evoluzione del sarcoma di cui Micheli era affetto si è bruscamente arrestata, quando non c’era alcun segno di miglioramento, in occasione di un pellegrinaggio a Lourdes. La guarigione è effettiva e duratura, e su questa guarigione non c’è ne è possibile alcuna spiegazione medica». Il professor Salmon ribadiva: «Rammentiamo infine che il nostro compito di medici si è limitato a costatare che la guarigione è inspiegabile, senza andare oltre».

La diagnosi

Tutto era cominciato nel marzo del 1962 quando, dopo cinque mesi di servizio militare di leva, Vittorio Micheli s’era accorto che qualcosa non funzionava alla gamba sinistra. Il 16 aprile fu ricoverato all’ospedale militare di Verona. Fu sottoposto a esami di laboratorio, a una radiografia seguita da una biopsia dell’anca. Il referto fu senza appello: osteosarcoma, vale a dire un tumore osseo con distruzione di mezzo bacino.

Nel giugno del 1962 Vittorio Micheli fu trasferito all’ospedale militare di Trento, in una palazzina che si trovava dirimpetto alla casa di cura delle Camilliane. Quel fabbricato fu raso al suolo qualche anno fa per ricavarne un parcheggio per le automobili. Il 18 luglio 1962, le radiografie rilevarono la «distruzione pressoché completa dell’emibacino sinistro» e i medici decisero il suo ricovero al centro tumori di Borgo Valsugana. Qui, Vittorio Micheli restò soltanto tre giorni poiché fu giudicato «non suscettibile di un trattamento radiante al cobalto». La diagnosi confermò un osteosarcoma dell’emibacino sinistro.

Il pellegrinaggio

Il 5 agosto del 1962, il soldato Micheli fu riportato all’ospedale militare di Trento. Passavano i mesi, aumentava il dolore, le radiografie segnalavano un aggravamento del tumore con la distruzione dei muscoli e della testa del femore. La gamba sinistra era ormai attaccata al tronco soltanto da un fascio di parti molli, senza alcun elemento osseo. Le condizioni del giovane alpino peggioravano di giorno in giorno. Nel frattempo, i medici avevano deciso un’ingessatura completa del bacino e della gamba. Nel maggio del 1963, Vittorio Micheli fu convinto da una suora dell’ospedale militare di via Giovanelli a partecipare, sia pure controvoglia, a un pellegrinaggio a Lourdes. Nella notte fra il 30 e 31 maggio 1963 si compì “l’evento straordinario”. Qualche ora prima, Vittorio Micheli era stato calato, completamente ingessato, nella piscina accanto alla grotta di Massabielle. Racconta: «Dopo il bagno io ho avuto una ripresa dell’appetito, che da allora è sempre continuato, e ho potuto sospendere i calmanti di cui prima facevo uso costante».

Tornato all’ospedale militare di Trento, dopo qualche settimana «ho costatato che il mio stato di salute generale era migliorato. Tra l’altro avevo percepito il consolidamento della mia coscia nel gesso, nel senso che la gamba sembrava nuovamente attaccata al bacino».

La guarigione improvvisa

Nel febbraio del 1964, i medici decisero il trasferimento del giovane soldato all’ospedale di Borgo Valsugana per consentire un avvicinamento alla famiglia. La sera prima del viaggio levarono la parte superiore del gesso, lasciando solo la parte che poggiava sul letto. Vittorio Micheli era immobile da molti mesi. «Nel corso della notte mi accorsi che dovevo andare in bagno. Mezzo addormentato mi alzai dal letto e come nulla fosse attraversai il corridoio». Era completamente guarito e, nonostante la forzata immobilità, perfettamente in grado di camminare. Lo stupore dei medici fu pari solo alle mille domande senza una razionale spiegazione.

Non c’erano i social network a quel tempo e la notizia di quella guarigione inspiegabile restò circoscritta all’ambito parentale. A Scurelle, dove il Vittorio tornò guarito e congedato, se ne parlò ma senza particolare enfasi. Quanto a lui, lasciata la fabbrica dove era occupato prima della leva militare, cominciò a lavorare nell’edilizia.

Le nozze con “la Lidia”

Vittorio Micheli era un bel giovanotto, ma di poche parole. Al punto che non disse nulla nemmeno alla Lidia, l’infermiera dell’ospedale di Borgo conosciuta nel 1966 e che poi divenne sua moglie. Si sposarono in Duomo, a Trento, nel maggio del 1971. Due ore dopo, la coppia partì diretta a Lourdes, lui “barelliere”, lei come “dama”, per accompagnare gli ammalati sul treno dei pellegrini. E soltanto durante il turno di notte, Lidia Voltolini seppe da una collega che suo marito era stato “miracolato” otto anni prima a Lourdes.

«Lei non mi chiese mai spiegazioni. Rispettò il mio riserbo. Rispose solo alla sua collega che se non glielo avevo detto era perché, probabilmente, non avevo alcun motivo di vantarmi. Sono convinto che più che per merito mio quella guarigione sia stata indotta dalle orazioni di mia mamma e di mio fratello don Francesco».

Vittorio Micheli è uomo di poche parole. Lo riconobbe nella relazione conclusiva dell’indagine medico-scientifica lo stesso professor Salmon: «[Micheli non ha mai voluto] avere in qualche modo considerazione e pubblicità. La sua modestia e il suo modo di vivere danno ancor più rilievo alle sue parole il cui valore per noi è indiscutibilmente convincente. Ecco dunque la storia della guarigione ed il suo svolgimento nel tempo. Micheli fu immerso nella piscina con il gesso. Dopo il bagno ebbe fame e sospese subito la somministrazione di calmanti. …]»

«Riassumendo: Vittorio Micheli era affetto da tumore maligno al bacino con invasione della natica, distruzione della maggior parte del bacino e lussazione patologica dell’anca. Questo tumore - si legge ancora nell’idagine - era un sarcoma ed è guarito immediatamente senza alcun trattamento. L’ammalato è stato seguito molto da vicino per otto anni».

Barelliere a Lourdes

Da quel primo pellegrinaggio controvoglia e che gli ha cambiato la vita, Vittorio Micheli è andato a Lourdes un centinaio di volte. Da volontario, quale barelliere e poi “stagér”, al servizio degli ammalati. Dal 1858, a Lourdes sono stati esaminati più di settemila casi di guarigioni singolari. Soltanto per settanta episodi, attentamente vagliati, la Chiesa cattolica ha decretato il “miracolo”.

Vittorio Micheli, «miracolato numero 63», ha compiuto 80 anni il 6 febbraio. La Lidia, sua moglie, se ne è andata dodici anni fa, portata via da un brutto male. Nel 2014 anche lui ha rischiato ma poi è guarito. Un’altra volta.

La voce melodiosa di Gabriella

Dei mesi trascorsi all’ospedale militare di via Giovanelli, a Trento, ricorda ancora una bambina che dal terrazzo della palazzina accanto, cantava «con voce melodiosa per noi soldati a letto ammalati. Ricordo ancora il suo nome. Si chiamava Gabriella, credo. Mi piacerebbe sapere se c’è ancora, che cosa ha fatto, dove vive». Gabriella calava un cestino legato a una corda e i soldati degenti, per ringraziarla dell’intermezzo canoro, vi mettevano qualche caramella o due ciliegie.

Quella bambina è cresciuta, è diventata medico ed è una stimata professionista di Trento. Il “Trentino” l’ha rintracciata e l’ha messa in contatto con Vittorio Micheli. Un piccolo filo riannodato di una grande storia: di malattia e di guarigione. Misteriosa e definitiva.















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