Ingrid, la fotografa che culla i neonati 

Con la figlia Clelia ha appreso l’arte di ritrarre i piccini. E il Punto nascita dell’ospedale ha accolto le sue gigantografie


di Luca Marognoli


CLES. Se ti capita di vedere Ingrid Pellegrini all’opera, nel suo studio di Cles, capisci subito una cosa: che non è “soltanto” una brava fotografa. Per fare il lavoro che ha scelto, ritratti di neonati (o newborn come dicono gli addetti ai lavori) devi essere anche un po’ incantatrice, un po’ ipnotista, quasi un po’ sciamana si potrebbe azzardare. In altre parole, anche un po’ mamma, perché solo chi ha a che fare H24 con un frugoletto o una frugoletta, conosce almeno alcuni segreti, appresi con l’esperienza o tramandati da qualche nonna o zia, per far dormire la propria creatura.

Impresa non sempre agevole. Ingrid è avvantaggiata perché mamma già lo è, anche se la figlia l’ha cullata l’ultima volta una ventina di anni fa. Però questi sono segreti che non si dimenticano e il destino ha voluto che oggi quella figlia, Clelia, sia spesso al suo fianco, quando si tratta di “ipnotizzare” un neonato piazzato sotto le lampade a led dello studio fotografico Pellegrini di Cles. Madre e figlia si muovono in perfetta sincronia e cooperazione e la prima ha trasmesso alla seconda le tecniche che vengono insegnate nei corsi dedicati alla ritrattistica di newborn (anche nella fotografia si va verso specializzazioni che richiederebbero una laurea, con tecniche raffinatissime e maestri di fama mondiale).

Così eccole lì a manipolare il bebè di turno (è fondamentale che il piccolo modello abbia pochi giorni di vita, altrimenti diventa troppo reattivo e poco incline a farsi “addomesticare”), a fasciarlo delicatamente in una specie di gomitolo gigante che lo fa emergere come il pistillo di un fiore, oppure ad adagiarlo come una tenera ranocchia, o ancora a farlo sbucare come un putto rinascimentale da un secchio da giardino. Non prima che il protagonista della posa sia stato agghindato con sfiziosi vestitini, fascette e altri gingilli di una graziosità che intenerirebbe anche il più rude dei contadini che si aggirano fra i “pomari” della valle.

Lo shooting può durare anche tre o quattro ore e la pazienza di Ingrid va di pari passo con la dolcezza con cui culla il neonato, dondolandosi seduta su una grande palla di gomma rosa, al ritmo ipnotico dello “shusher”, un trasmettitore di suoni che richiamano al piccolo l’atmosfera del grembo materno.

Erede di una dinastia che ha il suo capostipite in Alois Gnadingher, il bisnonno che viveva in Germania ed ebbe l’onore di ritrarre nientemeno che Francesco Giuseppe prima di trasferirsi in Italia, Ingrid ha imparato il mestiere da papà Sigismondo, il celebre “Sigi” che prese il cognome Pellegrini da una zia di Cavareno. La ritrattistica di newborn è una novità relativamente recente nella sua carriera, una svolta intrapresa quattro anni fa (il suo punto di riferimento artistico è l’americana Ana Brandt, vera e propria guru della materia) ma che l’ha portata già a farsi un nome nel settore. Tanto che di recente alcuni splendidi scatti di Ingrid in formato gigantografia spiccano sulle pareti del Punto nascita dell’ospedale di Cles. La fotografa clesiana le ha donate a Paola Demagri, la responsabile delle professioni sanitarie che si è attivata per proporre alla direzione generale il progetto. «Volevo condividere le emozioni delle neomamme con le future mamme», dice. Anche loro si sono sentite un po’ coccolate.













Scuola & Ricerca

In primo piano