salute

Pfas, veleni nell’acqua di falda in Valle del Chiese

La contaminazione in corso: i pozzi di controllo solo dopo tre anni dalla segnalazione


ANDREA TOMASI


VALLE DEL CHIESE. La cosa certa è che nella falda acquifera sono finite sostanze tossiche. L’altra certezza è che si tratta di Pfos, impermeabilizzanti, sostanze perfluoroalchiliche della famiglia dei Pfas che possono causare il cancro, uno sviluppo anomalo dell’apparato genitale maschile dei bambini, problemi di tiroide e malattie del sistema nervoso. Questi veleni - inodori, incolori e insapori - vengono usati nella galvanica, tecnica industriale usata per proteggere le strutture metalliche dalla corrosione. La certezza numero tre è che l’area che è stata contaminata va da Storo a Condino: i Pfas sono finiti nel terreno e nell’acqua. Si tratta di materiali persistenti e bioaccumulabili. Oggi non esiste un modo per annientarli. Ufficialmente non si sa chi ha danneggiato il territorio né quando. L’area in questione è a Condino, dove un tempo operavano anche le Fonderie Trentine.

Poche settimane fa sono stati posizionati cinque pozzi piezometrici per capire dove si trovano i Pfas, a quale profondità sono scesi negli anni e con quale velocità si muovono, perché queste sostanze ferme non stanno: vengono trasportate dall’acqua della falda.

Finora, stando ai rapporti dell’Appa (Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente), non si sarebbe creata una situazione di pericolo, anche se nei periodi di siccità – come ci viene confermato dalla Rete di Riserve Valle del Chiese - si pompa dalla falda, previo controllo.

Non si è in emergenza, ma l’attenzione è molto alta, perché la storia recente insegna che questo è materiale con cui non si scherza. Nel vicino Veneto lo sanno bene. In Tribunale a Vicenza è in corso un processo per inquinamento delle acque e disastro innominato: alla sbarra sono finiti 15 ex manager dello stabilimento Miteni (Mitsubishi + Eni) di Trissino, per la devastazione di una falda acquifera grande come il Lago di Garda. A tenere i riflettori accesi su una contaminazione ambientale senza precedenti è il gruppo delle Mamme No Pfas, che peraltro sono costantemente informate su inquinamenti analoghi in tutta Italia, Trentino compreso. La dispersione in Valle del Chiese non è della stessa entità del caso veneto (che riguarda 300 mila persone e, in prospettiva, 800 mila, più tutta la filiera alimentare). Peraltro la Miteni i Pfas li produceva mentre a Condino venivano utilizzati e poi dispersi, in assenza di una normativa di tutela dell’ambiente.

Claudio Poletti, presidente della Rete di Riserve della Valle del Chiese, conferma che a metà ottobre sono stati fatti i pozzi piezometrici «per vedere fin dove arriva l’inquinamento». «Al momento – aggiunge – non si sono rilevati valori critici, però per precauzione l’acqua di falda viene usata il meno possibile. Il problema si pone d’estate quando c’è meno acqua ma aumenta la richiesta. Le sorgenti non forniscono abbastanza acqua e quindi questa viene pompata dalla falda e immessa nell’acquedotto».

Poletti, che è anche consigliere comunale con delega all’ambiente a Storo, spiega che «con Appa ci sono tutte le garanzie, perché prima di finire nell’acquedotto l’acqua viene sottoposta a controlli». E infine: «A livello comunale si cerca di immettere meno acqua possibile dalla falda. Infatti si sta lavorando ad un sistema ad anello per collegare Storo, Darzo, Lodrone e Baitoni. Al momento hanno collegato Darzo e Storo. I controlli vengono fatti ogni 10 giorni dalla Spa Geas (Giudicarie energia acqua servizi). I livelli sono quelli del 2019. Per il mio ruolo non posso che preoccuparmi che ci sia voluto tutto questo tempo per iniziare a fare i rilevi con i pozzi». I pozzi piezometrici, appunto. Come spiegato, sono stati realizzati poche settimane fa: 2 a Borgo Chiese 3 a Storo. Siamo a novembre 2022, ma il primo atto pubblico sulla contaminazione della falda idrica è del novembre 2019: una mozione presentata in consiglio provinciale da Alex Marini (Cinque Stelle). Sono passati tre anni (che diventano quattro se calcoliamo che il primo monitoraggio chiesto dal Ministero è del 2018). Nel 2019 Marini, dopo aver raccolto dati e informazioni presentò una mozione per finanziare uno studio scientifico per indagare la fonte dell'inquinamento, le dinamiche sotterranee della falda e i possibili interventi di contenimento del rischio. L'atto fu approvato dall'aula ma l'attuazione definitiva non si è ancora completata. «L'impegno consisteva nell'avvio di una collaborazione fra Appa e Dipartimento di ingegneria dell'Università di Trento (responsabile è il professor Alberto Bellin, del Dipartimento di Ingegneria) per la modellizzazione idrogeologica della falda nella piana di Storo. «Purtroppo- spiega Marini - a causa di una serie di imprevisti, non si sono ancora potuti concludere gli accertamenti per inquadrare in via definitiva la complessità della problematica».

 













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