Alta quota, ecco le chiavi dell'adattamento degli organismi viventi
Se n'è parlato al Wired Next Fest di Rovereto con il ricercatore del Muse Mauro Gobbi e l’alpinista Marco Masserini. Il corpo umano affronta la riduzione di ossigeno e pressione con meccanismi di acclimatazione come l’aumento del battito cardiaco, della frequenza respiratoria e della produzione di emoglobina
Come si addatta un organismo all'alta quota e come trova l'energia per andare avanti? Se n'è parlato al Wired Next Fest di Rovereto nel talk intitolato “L’energia per performare alle alte quote”: hanno partecipato il ricercatore del Muse Mauro Gobbi e l’alpinista Marco Masserini. I due esperti hanno esplorato come persone e altri organismi viventi riescano ad adattarsi agli ambienti ostili d’alta montagna.
In un periodo in cui questi luoghi diventano sempre più frequentati, anche a causa dell’overtourism, è fondamentale approcciarsi alla montagna con la giusta preparazione, senza sottovalutare rischi e difficoltà legate all’altitudine e alle trasformazioni in corso.
Ma cosa succede a chi vive o frequenta le alte quote?
“Il corpo umano - spiega Masserini, accompagnatore di media montagna -affronta la riduzione di ossigeno e pressione con meccanismi di acclimatazione come l’aumento del battito cardiaco, della frequenza respiratoria e della produzione di emoglobina.
Per alcune popolazioni, come gli Sherpa, questi adattamenti sono diventati parte del patrimonio genetico”.
Anche piante, insetti e altri animali che vivono su ghiacciai e in ambienti estremi si sono evoluti per resistere a temperature rigide, radiazioni ultraviolette e scarsità di ossigeno, sviluppando strategie di adattamento e sopravvivenza.
Come racconta Mauro Gobbi, ricercatore dell'ambito clima ed ecologia del Muse, che da oltre 20 anni studia la biodiversità glaciale: "I ghiacciai, seppur ambienti estremi, sono l'habitat di piante e animali. Alcuni insetti producono proteine antigelo, mentre per proteggersi dalle radiazioni ultraviolette sviluppano colorazioni metalliche o scure per riflettere o assorbire i raggi solari.
Alcune specie possiedono strutture che rilasciano goccioline d’acqua, favorendo l’assorbimento di ossigeno, fondamentale per vivere e 'performare' in alta quota; mentre la maggior parte di loro ha perso le ali, un adattamento evolutivo al vento forte.
Le piante, invece, esposte a frane, valanghe e raffiche di vento, sviluppano radici profonde per ancorarsi al terreno e una crescita bassa, con fiori vistosi per attirare i pochi insetti impollinatori presenti lassù”.
Oltre agli aspetti fisici, hanno sottolineato i due relatori, spesso impegnati in spedizioni alpinistiche o di ricerca scientifica, l’adattamento in alta quota richiede anche una forte componente mentale: resilienza, capacità di leadership, abitudine alla fatica e alla scomodità e una solida fiducia nel proprio team sono fondamentali per affrontare con successo le sfide dell’alta montagna.
Il talk ha infine affrontato il tema cruciale dei cambiamenti climatici, con il ritiro dei ghiacciai che trasforma il paesaggio e riduce habitat di molte specie, portando a estinzioni locali e modifiche agli ecosistemi.
"In altissima quota, tra i 6.000 e i 7.000 metri, ogni anno usiamo sempre più scale tra i crepacci per poter passare. È un segno che mi rattrista", osserva l'alpinista.
"Al Muse - evidenzia Gobbi - stiamo documentando come gli ambienti glaciali stanno cambiando sempre più rapidamente a causa del riscaldamento globale. Ogni anno la ‘casa’ di questi organismi si restringe, costringendoli a spostarsi verso l’alto, ma le montagne sono un cono che si assottiglia fino a scomparire, creando una vera e propria trappola sommitale. Non possono più migrare e stiamo già assistendo a estinzioni locali. Questo processo influenza gli ecosistemi e porterà a montagne sempre più verdi".