«In emergenza bisogna scegliere chi curare prima» 

Il presidente del Comitato etico. Il dottor Edoardo Geat risponde a Cembrani: «Giusto il suo principio di uguaglianza, ma presto  non saremo più in grado di fornite le stesse qualità di cure a tutti»


GIULIANO LOTT


Trento. Il principio di uguaglianza e di pari dignità enunciato ieri dal dottor Fabio Cembrani, primario di medicina legale al Santa Chiara di Trento, è corretto, ma funziona solo in un contesto di normalità: siamo in emergenza sanitaria e bisognerà fare delle scelte difficili, a volte dolorose, perché presto non sarà possibile garantire lo stesso livello di cure a tutti. A questo serve il documento inviato dal Comitato etico dell’Azienda sanitaria (Ceas), che il presidente Edoardo Geat, a lungo primario di rianimazione, difende e spiega.

Dottore Geat, come risponde alle osservazioni del suo collega Cembrani?

Come presidente del Ceas e come rianimatore, posso dire che il problema è che le risorse sono inadeguate rispetto alle richieste, e che stiamo andando verso un deciso peggioramento. Il discorso di Cembrani è giusto, in linea di principio, e si applica tutti i giorni, in periodi normali. Ma i rianimatori e tutti i professionisti coinvolti da questa emergenza sono sottoposti a enormi stress, e più passa il tempo e più diventerà difficile, se non impossibile, garantire la stessa qualità di cura a tutti. In condizioni di emergenza, l’etica utilitaristica, che pure può non piacere, è l’unica soluzione da adottare, pur contemperandola nel miglior modo possibile.

Intende il principio di dare accesso alle terapie intensive con priorità a chi ha maggiori possibilità di sopravvivere?

Il documento pubblicato nei giorni scorsi della Siarti (Società italiana anestesisti e rianimatori) è un tentativo di fornire ai medici dei criteri di scelta. Non lo vedo come un ombrello per riparare i medici dalle possibili cause avviate dalla famiglia di un malato deceduto, come sostiene Cembrani, ma piuttosto come un aiuto ai medici per compiere certe scelte. Tutte le vite hanno la stesa dignità, e noi dobbiamo cercare di salvarne il più possibile. Ma ci sono molte variabili in gioco, come dare priorità a chi ha aspettativa di una migliore qualità di vita, o a chi ha maggiori possibilità di successo terapeutico. In questi casi, non potendo fare il meglio, bisogna almeno cercare di fare meno danno possibile. Il principio di uguaglianza prevede che si dia stessa qualità di cura ad ogni paziente, ma saremmo già alla saturazione se si seguisse questo principio.

Nel concreto, quali criteri vengono valutati per scegliere a chi dare precedenza?

Già adesso, gran parte dei pazienti utilizzano ventilatori di anestesia, ma in qualche maniera riusciamo a tirare avanti. Si cerca di trasferire il paziente, dove è possibile. Ma finché c’è spazio si possono prendere decisioni, quando lo spazio non c’è più e arriva un nuovo paziente, mettiamo di 40 anni, che si fa? È molto difficile togliere un respiratore a un anziano per darlo al nuovo arrivato. Quello della Siarti è un lodevole tentativo di venire in aiuto dei medici. Che non sono da soli a decidere: la decisione, a volte dolorosa ma necessaria, va condivisa con l’equipe medica e la famiglia del paziente.

Al Ceas come avete gestito questo problema?

Il Comitato etico è stato incaricato di preparare un documento e siamo riusciti a terminarlo in una sola settimana. Crediamo sia uno strumento utile, abbiamo cercato di dare un indirizzo ai colleghi. Innanzi tutto, ogni caso va valutato individualmente, in base alla proporzionalità e all’equità delle cure, stabilendo quando il livello di cure è il massimo possibile per quel paziente. Speriamo che questo documento sia di aiuto. Il comitato si è messo anche a disposizione per fornire consulenze per via telematica, in caso di bisogno.

Il dottor Cembrani ha affermato che i comitati etici non servono a nulla, sono in sostanza inutili perché incapaci di fornire delle regole univoche.

I comitati etici si sono dati sempre da fare per produrre documenti che aiutino i clinici a focalizzare un determinato problema. Se non c’è una soluzione ideale, si deve scegliere il male minore. È doloroso, ma è così. Siamo in situazione d’emergenza, bisogna prendere decisioni rapide. Decisioni che vanno condivise, e noi ci mettiamo a disposizione per affiancare i medici nelle loro decisioni. Per questo l’accoglimento in terapia intensiva si deve basare su appropriatezza e proporzionalità clinica. Significa valutare in base a certi parametri, inclusa l’età, ma anche l’efficacia della cura. Ma abbiamo preferito non stabilire delle barriere precise, anche sull’età, ritenendo meglio valutare caso per caso. Il Comitato nazionale bioetica si è già espresso e concorda sul fatto che spetti proprio ai comitati etici dare delle indicazioni, perché garantiscono pluralità di visioni e di competenze. È anzi molto importante è che sia garantito il carattere multidisciplinare e pluralistico della consulenza. Devo dire invece che l’opinione del dottor Cembrani ha lasciato perplessi molti colleghi che oggi lavorano nelle terapie intensive. Non basta dire che bisogna curare tutti allo stesso modo: se non è più possibile, bisogna capire cosa si deve fare.

Dal punto di vista operativo, siamo già al punto di dover scegliere chi curare per primo?

Sono stato a lungo primario di rianimazione, e c’erano 31 posti in terapia intensiva quando lavoravo io. Per fare fronte all’emergenza del Covid 19 li hanno portati a 75 posti ventilati. Ora si pensa di portarli a 115, ma comunque non basterà: i contagi sono in costante aumento e non siamo ancora arrivati al picco. Vuol dire che probabilmente una selezione in qualche modo è stata fatta. Altrimenti, il primo che arriva trova posto, mentre chi arriva dopo no. E qui verrebbe meno anche il principio di giustizia ed equità.













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