lo studio

Il «funerale» dello sci è previsto nel 2050

Il rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente: «Turismo invernale a rischio». Ma con i cambiamenti climatici le Alpi saranno il luogo migliore per... l’estate


di Andrea Selva


TRENTO. La neve fresca caduta (finalmente) sulle Dolomiti salverà forse questa seconda metà di stagione, ma gli interrogativi sul futuro del turismo invernale sull’arco alpino vanno ben oltre i due mesi di siccità appena trascorsi. Questa volta l’allarme arriva dall’Agenzia europea per l’ambiente che nell’ultimo rapporto dedicato ai cambiamenti climatici in Europa, pubblicato a fine gennaio, affronta lo scenario complicato che gli operatori turistici (ma non solo loro in realtà) dovranno affrontare nei prossimi decenni.

I cambiamenti descritti nel rapporto sono drammatici e se nell’area mediterranea bisognerà fare i conti con estati secche e torride (compensate da mezze stagioni gradevoli) sulle Alpi non andrà meglio: meno neve l’inverno, maggiori rischi di frane e crolli, con l’unico vantaggio che le località di montagna potranno diventare (nei mesi più caldi) il rifugio fresco delle persone in fuga da un clima che più a sud saprà essere infernale.

Il climatologo Luca Mercalli (che intervistiamo nel pezzo qui accanto) lo diceva già una decina d’anni fa: «Dimentichiamoci lo sci sotto i 2 mila metri di quota, gli albergatori si preparino a offrire il fresco estivo ai turisti». E ora l’appello è ribadito, nero su bianco, dall’Unione europea.

Il rapporto si sofferma a lungo sulla situazione dei ghiacciai (più che dimezzati nell’arco di un secolo, con un’accelerazione nettissima a partire dagli anni Ottanta) e poi fornisce alcuni dati sull’innevamento citando studi svizzeri che indicano una diminuzione variabile tra le 4 e le 6 settimane della stagione dello sci per ogni grado di aumento della temperatura media. Il problema è che sull’arco alpino la temperatura negli ultimi cent’anni è aumentata il doppio rispetto alla media europea (2 gradi circa da fine Ottocento) e nel 2080 si prevede che la quota dove lo sci sarà praticabile si attesterà attorno ai 2.200 metri. Ma questa previsione riguarda la Svizzera. Sui nostri versanti questo potrebbe verificarsi prima del 2050: se gli scienziati avessero ragione addio alle discese in pista in (quasi) tutte le località sciistiche del Trentino. Con l’eccezione della Marmolada, del Presena, di Pejo 3000 (dove ci sono i cannoni alla quota più elevata del Trentino) e di poche piste in valle di Fassa e a Campiglio.

Ma che si può fare nei trent’anni che ci separano dal funerale dello sci? L’Agenzia europea dell’ambiente suggerisce di cominciare a seguire i cambiamenti stagionali (abbiamo già cominciato a conoscere autunni lunghi e turisticamente appetibili) e soprattutto di considerare alternative agli sport invernali che hanno fatto la fortuna dell’offerta turistica negli ultimi cinquant’anni.

La concorrenza sarà spietata visto che - si legge nel rapporto - la copertura nevosa dei versanti meridionali delle Alpi sarà minore rispetto ai versanti settentrionali, con la pioggia che sempre più sostituirà i fiocchi, almeno alle quote più basse. Senza contare che l’invecchiamento della popolazione rappresenta (già in questi anni) un problema per il turismo invernale, se è vero quanto sostiene uno studio condotto sulle Alpi austriache citato nel rapporto.

Parliamo di scenari previsti nei prossimi decenni. Chi ama lo sci potrà continuare a praticarlo. Quanto ai nostri figli (e nipoti) dimenticheranno forse i pupazzi di neve e le discese con la slitta, ma potranno consolarsi pensando che le località montane delle Alpi saranno in Europa il luogo più gradevole dove trascorrere... l’estate.













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