L'OPERA

Rovereto, il parco del fallo caduto nell’oblio 

Vent’anni dopo, ai Lavini rimangono abbandonate le sculture di Baroncini del ciclo Zodiaco 2000


di Filippo Schwachtje


ROVERETO . Sono passati più di tre anni dalla morte dello scultore roveretano, che proprio questo mese avrebbe festeggiato il suo 73esimo compleanno. Una vita, la sua, dedicata all'arte, vissuta con una concezione intima e personale, per la quale non è mai sceso a compromessi e che ha sempre portato avanti con coerenza e indipendenza, evitando di associarsi o di allinearsi a qualsivoglia movimento o scuola artistica.

La sua opera più conosciuta, e forse più controversa, è in realtà rimasta incompiuta: “Zodiaco 2000”, iniziata ancora nel 1999, doveva essere un complesso di sculture realizzate alle pendici dei Lavini di Marco, proprio con le rocce della Ruina dantesca, su un terreno messo a disposizione da un privato cittadino suo grande ammiratore.

La particolarità dell'opera? Un enorme fallo in pietra, alto più di 2 metri, che erompe dalla terra. Baroncini interruppe i lavori dopo una querela per oscenità e per i continui atti di vandalismo che distrussero in parte le sculture. Il progetto, infatti, prevedeva inizialmente una riproduzione dei dodici segni zodiacali disposti lungo una circonferenza di circa 120 metri, al centro della quale doveva stagliarsi l'enorme membro. Sebbene non concluso, il complesso di sculture è ancora ben visibile, bastano due passi in direzione dei Lavini dalla statale che porta verso Marco, e subito le sculture saltano all'occhio. Ma a quasi vent'anni di distanza, che ne è oggi di “Zodiaco 2000”?

Tutta l'area dove sorge il complesso sembra abbandonata. Alcune delle statue sono quasi totalmente coperte dalla vegetazione, altre sono diventate la superficie ideale per le api dove costruire i loro alveari, altre ancora sono state distrutte. Ironicamente, proprio il fallo al centro è rimasto in condizioni ottimali nonostante gli anni e le intemperie. Subito dietro sorge un'altra scultura che si è ben mantenuta nel tempo. Un omaggio che l'artista ha reso a modo suo al sommo Poeta, a quel Dante che dà il nome ai Lavini, e che Baroncini ha rappresentato secondo i canoni tradizionali (naso aquilino e mento sporgente) aggiungendovi però un particolare inedito: un sontuoso paio di corna che si attorcigliano su se stesse a rappresentare il segno dell'ariete.

L'idea era certo molto più di una semplice provocazione, in un intervista rilasciata al Trentino nel 1999 Baroncini spiegava il significato che sta dietro all'opera: «Il mio è un inno alla vita, ma anche un invito a non prendere sul serio l'astrologia». Il pene doveva rappresentare il sole e la sua potenza creativa, in contrapposizione alla luna (che doveva contenere una vagina nell'atto del parto) a simboleggiare la reincarnazione, la rinascita dalla morte. Sembra però che tutto il complesso purtroppo sia ormai destinato a rimanere nel dimenticatoio, nell'oblio, come fosse solo stato lo scherzo di un artista un po' provocatore.

Baroncini è stato tristemente profeta in questo senso. Sempre nell'intervista del '99, infatti, rispondendo alla domanda circa la possibile reazione che la gente avrebbe potuto avere nell'osservare la sua opera, dichiarò: «Non si meravigli, ma diranno che è tutta una grande “cazzata” ».

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