L'INTERVISTA Paolo gabrielli 

«Dal ghiaccio del Perù risposte sul futuro che ci aspetta» 

L’ultima missione del glaciologo roveretano. Carotaggi sulla vetta dello Huascaran, con campioni che arrivano a 25 mila anni fa. Ma anche una rivolta dei campesinos che lo ha costretto alla fuga


Michele Stinghen


Rovereto. fuga in elicottero, portatori "sequestrati", polizia in tenuta anti-sommossa ma che ha gestito bene una situazione potenzialmente esplosiva, ma anche un'impresa alpinistica, con l'apertura di una nuova via alla cima più alta del perù, lo huascaran sud. e soprattutto, i campioni di ghiaccio della vetta salvati e in viaggio per il centro di ricerca. sarà davvero difficile da dimenticare, la spedizione del glaciologo roveretano paolo gabrielli (che lavora per il byrd polar research centre di columbus nell'ohio) nella cordillera blanca, sia per l'ottimo risultato, sia per la "rivolta" della comunità locale. i campesinos del paese di musho, credendo che la spedizione scientifica internazionale occultasse in realtà l'avvio di una miniera sullo huascaran, hanno costretto all'evacuazione i ricercatori e gli alpinisti peruviani di supporto dalla montagna. un'avventura a lieto fine per gabrielli, che raggiungiamo mentre è a lima, in attesa di rientrare negli stati uniti. con le carote di ghiaccio più alte mai raccolte nell'emisfero sud.

Gabrielli, ci racconti cosa è successo.

«Avevamo appena terminato il carotaggio in vetta quando ci è arrivata la notizia che dovevamo lasciare la montagna a causa delle proteste. Siamo scesi fino al rifugio ed è venuta a prenderci in elicottero la polizia. La spedizione era pressoché conclusa, ma avevamo lasciato sulla montagna quattro tonnellate di ghiaccio raccolto lungo il percorso e dalla vetta. I portatori sono scesi a piedi, arrivando di notte al rifugio sono stati intercettati, o "sequestrati" per usare una parola più forte, da alcuni campesinos. Con loro c'erano anche dei poliziotti. Il giorno dopo è arrivata la polizia in tenuta antisommossa, ma ha gestito bene la vicenda, dialogando, non c'è stata violenza. Temevamo un'escalation».

Siete riusciti a raccogliere il ghiaccio carotato?

«Sì, per fortuna. Abbiamo partecipato alla riunione domenicale nella piazza del paese, dove abbiamo spiegato che non eravamo al soldo di qualche impresa mineraria statunitense, ma ricercatori impegnati per studiare il clima. Il confronto è stato pacifico, ma la situazione era potenzialmente ostile. La polizia ci aveva scortati, e si è fermata ai margini dell'abitato, ancora in tenuta antisommossa. Tutto è andato bene, ma ci sono stati concessi tre giorni prima di abbandonare la montagna. A quel punto i portatori e le guide hanno fatto un lavoro impressionante, portando a valle tutto».

Come si è arrivati a questa "rivolta"?

«Forse tutto è cominciato dalla visita del presidente del Perù alla nostra spedizione, alla partenza. Ha incontrato noi, ma non i campesinos. Ci ha dato visibilità, ma la mancata visita alla gente ha creato dei sospetti, perché qui si è abituati a sfruttamento e sottrazione delle risorse locali. La cosa è cresciuta, è nato persino un gruppo Facebook per "salvare lo Huascaran" con tantissimi follower. Vedendo i nostri tubi per le carote di ghiaccio, hanno pensato fossero campioni d'argento. Abbiamo lavorato senza comunicare nulla, tenendo il silenzio stampa».

Arrivando fino in vetta.

«Sì. Le guide e i portatori sono stati eccezionali. La via normale alla cima è semi abbandonata, perché a causa del clima mutato è diventata una roulette russa. Non potevamo salire di là. Le guide hanno aperto una nuova via, molto più difficile ma sicura, attrezzandola, e lungo la quale siamo saliti. Non è uno scherzo: ci sono dodici metri verticali su ghiaccio, e anche il resto è molto impegnativo».

E le carote di ghiaccio?

«Abbiamo carotato la sella a quota seimila, estraendo campioni dell'età di 25 mila anni. In cima siamo stati tre giorni e quattro notti, sempre a - 20° in tenda ma per fortuna con relativamente poco vento, carotando tutta la calotta, fino a 70 metri di profondità. Contiamo di poter capire la storia dell'Amazzonia, capendo se è sempre stata una foresta o se sia stata anche una savana, cosa ci aspetta con le modifiche climatiche. Forse potremo avere delle informazioni sul metano in atmosfera nel corso della storia».

Quando tornerà a Rovereto, a raccontarci le sue avventure?

«Ho un invito per il prossimo festival di meteorologia a novembre: sarà un piacere tornare nella mia città».

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