l'intervista

Svetlana, il suo “dolce mondo” è un grande sogno realizzato

Dalla Serbia all’Italia per quello che doveva essere un breve periodo, ma è ancora qui ed è imprenditrice


Daniele Peretti


TRENTO. Il bello non è tanto costruire il proprio futuro su un sogno, ma riuscire a realizzarlo.

È successo a Svetlana Janjic che dopo un viaggio a Barcellona aveva deciso di trasferirsi definitivamente in Spagna, ma con quale lavoro?

Con mio marito abbiamo deciso che la carta vincente poteva essere quella di aprire una gelateria italiana, ma non sapevamo fare il gelato. Così siamo tornati in Italia per imparare. Da lì è partita la nostra attività imprenditoriale e a Barcellona ormai non ci pensiamo più.

Nelle vene di Svetlana scorre sangue italiano ed è una storia tutta da ascoltare

Mio nonno si chiamava Pasquale Grossi ed era originario di Taranto, arrivò in Serbia al seguito dell’esercito italiano durante la Prima Guerra Mondiale e non andò più via. Si sposò ed ebbe 7 figli, tra i quali mia mamma Rosina che trovò lavoro nell’Ambasciata Italiana di Belgrado. Allora non si poteva avere la doppia cittadinanza e per questo avevamo quella italiana.

Ricordi del nonno?

Purtroppo diretti no perché morì l’anno prima della mia nascita. Però anche lui per un certo periodo ha gestito un ristorante ed è sempre stato imprenditore.

La decisione di venire in Italia?

Subito dopo la fine della guerra dei Balcani, non si vedeva un futuro e non abbiamo avuto la pazienza di aspettare. Favorita dalla cittadinanza italiana sono venuta in Italia insieme a mio marito.

Da subito in Trentino?

Si, il primo anno a Mori per essere vicini ad un amico che ci ha aiutato, poi a Villa Lagarina.

A Belgrado Svetlana si laurea in Scienze Forestali, dopo aver conseguito il diploma di Perito Chimico. Titoli di studio utili per trovare lavoro in Italia?

La laurea non mi è servita a nulla perché avrei dovuto dare una serie di esami per ottenere il riconoscimento in Italia.

Invece grazie al diploma sono stata assunta all’Aquafil al controllo della qualità dove ho lavorato dieci anni. Prima avevo fatto la domestica in una famiglia sempre ad Arco.

L’idea della gelateria?

Quando venimmo in Italia, mio marito aprì una ditta di trasporto espresso con i furgoni. Quando sul mercato sono arrivati polacchi e nordafricani, i prezzi sono crollati ed è stato costretto a cambiare lavoro.

Oggi Svetlana gestisce insieme al marito una gelateria d’asporto a Villa Lagarina, ha un furgone col quale porta il gelato davanti alle scuole e nei parchi pubblici e a Trento ha aperto “Dolce Mondo” che è bar, pasticceria, pizzeria e ristorante: il sogno di Barcellona si è realizzato a Trento.

Vero, abbiamo imparato da zero una professione: io seguo tutta la pasticceria, mio marito fa il cuoco e abbiamo preso un pizzaiolo. Proponiamo la pizza napoletana e la grigliata serba.

Cosa rappresenta per lei “Dolce Mondo”?

Mi viene in mente quello che mi disse un giorno un cliente che sottolineò come guardandomi lavorare fosse evidente che amavo il mio lavoro. Ne sono convinta, anzi penso che se ami la tua professione e il tuo locale in qualche modo sei ripagata.

Sette anni di attività, ma avete dovuto ricominciare un’altra volta da zero.

Purtroppo mi sono fatta una brutta frattura alla caviglia. Tra interventi e riabilitazione sono rimasta ferma un anno. Abbiamo affittato l’attività che abbiamo poi ripreso lo scorso agosto.

Com’è stato il rientro?

Abbiamo rifatto tutto l’arredamento, così anche il locale ha avuto una seconda vita dopo la ristrutturazione di inizio attività.

Quando è arrivata in Italia conosceva la lingua?

No, l'ho dovuta imparare. Sono stata a Roma ospite dei miei cugini e ho conosciuto un po’ della vostra cultura, ma ho ancora tantissimo da scoprire.

Che ricordo ha di Belgrado? Bellissimo. È una grande città in cui c’è sempre vita e offre tante possibilità. Pensi che lo stabile dove aveva aperto un ristorante mio nonno non esiste più perché bombardato. Così come la sua ditta per la produzione di calze. Fu requisita dallo Stato alla fine della seconda guerra mondiale perché attività italiana e dopo la sua morte è arrivato il risarcimento.

Il nonno ha avuto un ristorante, lei ha fatto altrettanto: c’è traccia di continuità generazionale in tutto questo.

La ristorazione nel nostro Dna? Forse. A me è sempre piaciuto lavorare in cucina. Poi mio figlio più piccolo, Andrea Luca, frequenta l’alberghiero; il medio Ivan frequenta l’Upt e mia figlia è manager in hotel: forse è proprio questa l’attività di famiglia.

Un’idea per il futuro?

Mi piacerebbe creare due spazi indipendenti: uno per il ristorante e uno per il bar pasticceria ed ampliare il plateatico con l’obiettivo di incrementare il lavoro serale. Una cosa l’abbiamo capita: questo lavoro ci piace davvero tanto.

 













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