rovereto

«Sono cresciuta a pane e vino». E adesso dirige la cantina

Unica donna in un ambiente maschile, Anna Simoncelli ha preso in mano l’azienda di famiglia, al Navicello


di DANIELE PERETTI


ROVERETO. Capita ancora, anche se sempre meno frequentemente, che quando Anna va ad accogliere i clienti in visita alla Cantina dell’azienda agricola di famiglia, la Armando Simoncelli al Navicello, a Rovereto, le venga detto che vogliono parlare col titolare. Lei sorridendo e con gentilezza conferma di essere lei, ma gli sguardi perplessi non mancano. “Sarà perché sono di colore e magari vestita da lavoro posso confondere le idee, ma la mia storia ormai la conoscono in tanti ed anche le persone nuove se ne interessano.”

Anna Simoncelli è nata a Salvador Bahia, in Brasile, ed è stata adottata quando aveva 4 mesi insieme a suo fratello Paulo, che di mesi ne aveva 7.

Com’è stato l’impatto col nuovo mondo? Non ho avuto particolari difficoltà essendo arrivata piccolissima a Rovereto, ho fatto tutte le scuole, mi sono diplomata all’istituto Turistico Aziendale; ho fatto molti lavori prima di entrare in azienda e poi fino all’anno scorso non sono mai tornata in Brasile. Più che vivere un ritorno, le sarà sembrato di essere una turista in vacanza. In gran parte è stato così, però ho provato sensazioni e emozioni che mi è dispiaciuto abbandonare. Quando si dice il richiamo della propria terra, penso proprio che si parli di una casa vera.

Come si è avvicinata al mondo del vino? Praticamente sono vissuta sempre “pane e vino”: l’uva, le viti, la campagna i loro odori hanno sempre fatto parte della mia vita, fin da piccolissima. Poi è vero che mi sarebbe piaciuto fare l’Istituto d’Arte, ma la scelta è stata diversa: mi sono diplomata all’Istituto Turistico Aziendale. Dopo un periodo distante dall’attività di famiglia, ne sono entrata a far parte.

Che lavori ha fatto? Davvero un po' di tutto: dalla volontaria all’Ubalda Girella, alla cameriera, all’impiegata.

Mentre in azienda? Faccio un po' di tutto. Seguo i clienti quando arrivano in cantina, faccio le consegne, con l’enologo Enrico Chiasera, che collabora con noi da più di vent’anni, seguo la sboccatura dello spumante, ma poi mi occupo anche di vendemmia e imbottigliamento. La famiglia Simoncelli ha iniziato a coltivare i vigneti più di duecento anni fa, ma in una azienda propria solo dal 1977, quando Armando e la moglie Silvia hanno acquistato i terreni dai Conti Bossi Fedrigotti. Undici gli ettari attualmente coltivati a vigneto.

Decisamente una bella realtà familiare, in che modo la vive? Da unica donna in un ambiente maschile, anche per quanto riguarda la clientela. Sinceramente devo dire che col Trentodoc molto è cambiato nel mondo vitivinicolo trentino. Si tratta di un ambito nel quale non sono l’unica donna ed anche alle mostre la presenza femminile inizia ad essere significativa. Certo, c’è da lottare perché si pensa ancora che la competenza in questo settore sia cosa unicamente maschile e qualcuno mi provoca pure.

In che modo? Ad esempio facendomi delle domande su aspetti secondari della composizione del vino. È evidente che mi stanno “testando” per verificare quanto ne so. Ma gli arriva la risposta che si aspettavano e restano sorpresi; poi tutto fila liscio senza problemi perché hanno capito che la mia non è solo apparenza, ma anche sostanza.

Una sostanza che non sarà stato facile acquisire? Per nulla ho dovuto studiare molto. Tanto mi ha insegnato Enrico Chiasera, la cui esperienza professionale diventa fondamentale in molte situazioni. Poi mio papà, mio fratello Paulo, ma ho anche studiato e cercato di rubare il mestiere a chi incontravo negli appuntamenti professionali. Una formazione che si è consolidata via via anche nel lavoro quotidiano.

Di certo un percorso di conquista faticosa e che come tale sarà stato anche di grande soddisfazione. Quando si sente più appagata? Tutte le volte che i clienti mi fanno i complimenti per come lavoro. C’è chi quando torna in cantina, mi porta anche un regalino e per scherzo è capitato pure che qualcuno si presentasse con una bottiglia di vino delle sue zone. Poi è stato bello lo scorso anno quando sono andata in ferie, perché mi sono resa conto che hanno notato la mia assenza. Qualcuno c’è anche rimasto male, non trovandomi in cantina. Vuol dire che è stata compresa e apprezzata la passione col quale faccio il mio lavoro, ed è una conferma che mi fa molto piacere.

Una delusione invece? La mancanza di tempo libero, con un lavoro che assorbe molto anche in termini di tempo. A me piace molto la fotografia e vorrei approfondire tecnica e teoria, frequentare dei corsi, studiare e fotografare. Invece il lavoro mi occupa tante ore al giorno e me ne rimane poco per dedicarmi alle mie passioni. Ma alla fine va anche bene perché è un lavoro che mi piace, all’aria aperta e che da molte soddisfazioni.

Torniamo all’approccio con i clienti, come si muove? Nel caso in cui non lo conosca cerco di capire chi ho di fronte e cosa si possa aspettare da me. In tutti i casi la mia non sarà mai una spiegazione tecnica, ma uso parole semplici, esempi facilmente comprensibili e poi di molto spazio alla storia della Cantina, ma se me lo chiedono anche alla mia personale: per questo aspetto non ho nessun problema a parlarne, anzi.

Guardando al futuro... Mi piacerebbe crearmi una famiglia che a causa alcuni imprevisti non sono ancora riuscita ad avere. A livello aziendale direi che ci vorrebbe un rimodernamento, specialmente del punto vendita. L’ultimo intervento è del 1985 e da allora non c’è più stato nulla di incisivo. Penso però che specialmente a livello d’accoglienza, qualcosa andrebbe affiancato all’attuale offerta.













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