Il racconto

Gustav Thöni ai giovani: «Tornate a vivere sotto il cielo, in montagna» 

A 71 anni la leggenda dello sci attira ancora migliaia di turisti sullo Stelvio che si mettono in coda per i selfie. «Ho sempre votato Svp ma con le mie vittorie sono stato una cerniera tra il Sudtirolo e l’Italia». «Il Comune ha ottenuto i fondi del Pnrr, ragazzi venite quassù»


Angelo Carrillo


BOLZANO. Agile, nonostante qualche acciacco, tonico, asciutto come le sue risposte. Alla bella età di 71 anni Gustav Thöni continua ad occuparsi del suo albergo bomboniera a Trafoi, sotto al ghiacciaio dell’Ortles i cui muraglioni di neve resistono al cambiamento climatico e rinfrescano l’aria.

Il genero Stephan Gander, manager di marketing e comunicazione, e l’efficientissima primogenita Petra Thöni, ora proprietaria e direttrice, chiedono a Gustav di risolvere i piccoli e grandi problemi dell’albergo: dal recuperare i ciclisti ospiti che hanno bucato una gomma qualche tornante più a valle, fino a riparare lo spremi agrumi inceppato.

Ma è soprattutto ai selfie con gli ospiti che l’icona dello sci azzurro sacrifica buona parte del suo tempo libero con la stessa cortesia e disponibilità con cui all’inizio degli anni ’70 si sottoponeva alle raffiche di domande dei giornalisti, conscio, se non un po’ stupito, dell’affetto che ancora lo circonda.

Il selfie con Gustavo

«Ho la pelle d’oca ad esser qui accanto a Gustavo», ammette, infatti, il 50enne cliente emiliano capitato qui la prima volta. D’altro canto, come scrive Christian Rainer nel libro, in uscita a settembre per Athesia (Gustav Thöni, Lebenskurven/ Dentro e fuori pista nella traduzione italiana) che abbiamo sfogliato in anteprima, sulla sua storia non solo sciistica, «non c’è nessuno, cresciuto negli anni 70, che non leghi alla figura di Gustav Thöni, qualche ricordo od esperienza personale».

Un ruolo chiave che la figura di Gustav (Gustavo) Thöni svolse non solo nella creazione del turismo invernale sulle alpi italiane, ma anche nel ricucire i rapporti tra “italiani e tedeschi” dopo i plumbei anni ’60. Se il pacchetto offrì la chiave per riparare a ben più di qualche torto storico sofferto dalla popolazione sudtirolese avviandola al benessere economico, Thöni ne incarnò non solo lo spirito nuovo, ma anche il volto: giovane, fresco e vincente. E tutti se ne innamorarono, dalle Alpi alla Sicilia. Non solo l’Alto Adige che aveva voglia di rinascere, ma anche l’Italia, che dopo il boom economico stava rapidamente scivolando verso gli anni di piombo e la strategia della tensione.

Gustav o Gustavo?

Se l'entusiasmo intorno a lui era già enorme dopo i primi mesi di carriera, le aspettative, non solo sportive, delle diverse parti lo erano anche di più. E quindi difficili da soddisfare. Se Thöni si presentava come un rappresentante della nazione per la quale sciava e che rappresenta come membro della nazionale e la cui bandiera viene issata in caso di vittoria, era “troppo walsch”, italiano, per i sudtirolesi. Se avesse preso le distanze sottolineando il suo essere sudtirolese, se mostrava di non parlare bene l’italiano, che non era la sua lingua madre, diventava un ingrato. Lo stesso Thöni poteva solo perdere in questo pasticcio. «Si sente più italiano o tedesco?», era la domanda ricorrente e, in fondo, senza una risposta giusta. E Thöni diplomaticamente: «Risposi sempre, sono sudtirolese e ho passaporto italiano», ricorda. Fino alla svolta.

Così Rainer cita un passaggio chiave del quotidiano Dolomiten di quei tempi: «Siamo onesti: siamo orgogliosi di Gustav Thöni. È il tipo di atleta che si trova raramente di questi tempi: un ragazzo umile, tranquillo, forte che si limita a sciare. Scia come solo chi è “cresciuto” così, con la neve in montagna, sulle sue montagne, che la “sente” ed è “tutt’uno” con essa. Il grande clamore che lo circonda da quando è uno dei migliori non lo tocca. Ci auguriamo tutti che possa rimanere sempre così. Questo è – forse suona banale – lo stile altoatesino».

Le qualità ammirevoli di Thöni diventano così quelle di un intero popolo, e questo, nonostante quel “Gustavo” con cui la stampa a i fan italiani lo avevano ribattezzato e che Thöni rivendica ancora oggi quasi come “un nome d’arte, oltre che una forma di cortesia per l’ospite”. Non tutti, naturalmente fino ad allora la pensavano così. Anzi. Ma i più accorti videro presto che in quello sventolare di tricolori intorno al campione di Trafoi c’era in primo luogo un’opportunità. Una pazzesca energia positiva capace di far passare in secondo piano rancori e odi.

Come Bartali e Coppi

Un fenomeno collettivo, nazionale, prima ancora che sportivo e locale. A 50 anni dall’approvazione del “pacchetto”, infatti il ruolo del campione di Trafoi nel traghettare l’Alto Adige oltre i 50 anni di “stato emergenziale” legato alla violenza delle due dittature, fascista e nazista, e alla difficile costruzione dell’autonomia comincia a essere analizzato e giustamente riconosciuto. Una figura molto più complessa la sua di quanto lo “storytelling” sportivo, cucito sulle medaglie del “bravo montanaro” gentile e simpatico, anche se di poche parole, ci abbia restituito.

Gustav, come ha vissuto lei il ruolo di “iniziatore” di una nuova stagione non solo sportiva ma anche politica e sociale come si racconta nel libro?

A 18 anni non sapevo nemmeno cosa fosse la politica, non me ne occupavo, io sciavo. Ciò non significa che non mi accorgessi di quello che mi succedeva intorno, di una certa simpatia che suscitavo.

Gli anni ’60, il convitto Merano per studiare. Pochi soldi, poco turismo. Intorno scoppiavano le bombe. Avrebbe mai pensato, pochi anni dopo, che le sue vittorie avrebbero contribuito, non solo a portare milioni di italiani in montagna, ma anche, a raccontare un Alto Adige non bombarolo, a far conoscere un volto diverso dei sudtirolesi?

No, io mi allenavo e pensavo a sciare. Stavo bene con tutti. La mia bandiera era il tricolore.

Anche se, come racconta, lei ha sempre votato Svp ha sicuramente contributo a migliorare i rapporti tra l’Alto Adige e l’Italia dicono…

Beh, Silvius Magnago raccontava spesso che durante le trattative per l’Autonomia, le mie vittorie gli infondevano coraggio e orgoglio e nella controparte italiana rispetto e ammirazione. Qualcosa di vero c’è.

Di certo non si è mai sottratto all’inno di Mameli e al Tricolore

Sono stato anche portabandiera ai Giochi di Innsbruck ’76, e pure a Lake Placid ’80. Ho anche la fiaccola di Torino 2006, sono stato tedoforo...

Non così facile in anni in cui saltavano i tralicci.

C’era stata una lotta per un’autonomia reale: per noi italiani di lingua tedesca era molto difficile avere una carica negli uffici pubblici. Io però appartenevo a una zona di confine, mio papà Giorgio faceva il maestro di sci a Bormio e con i lombardi ha sempre avuto un bel rapporto.

Trasversale da sempre

Forse il mio basso profilo ha limitato invide e le gelosie. Alla fine mi tifavano tutti: italiani, tedeschi, persino i ladini...

Arruolato con orgoglio nella Guardia di Finanza delle Fiamme Gialle. Parlava anche un discreto italiano, quando parlava.

In ogni valle c’erano militari italiani, alpini, carabinieri, che frequentavano i locali, a volte si sposavano. I giovani altoatesini andavano a fare il militare in Piemonte o al Sud. I ragazzi di oggi comunicano tanto ma hanno meno occasioni di incontro e parlano spesso poco e male l’italiano. È un peccato.

Ma torniamo alla cronaca: Lei nasce nel 1951, l’anno di costruzione della prima funivia a Trafoi. Una delle prime in Alto Adige. Che ricordi ha della sua infanzia “in albergo” e sulla neve?

Sfumata e allegra. Una grande famiglia allargata. Con cugini, zii cui apparteneva l’albergo. Mia madre, Anna Ortler, che si occupava dell’amministrazione mi ebbe che aveva già 40 anni, un’eccezione, in un inverno con tantissima neve.

Dal primo alloro internazionale 1971. Alle quattro coppe del mondo, cinque di specialità. Gli ori olimpici. La "Valanga azzurra”. Nel 1975 la sua gara forse più celebre: il parallelo in Val Gardena con Stenmark tra due ali di 50 mila spettatori impazziti, 20 milioni di italiani incollati alla tv, 150milioni di spettatori a livello mondiale, e la fine carriera nel 1976. Il mito resiste sempre. Perché?

Non lo so, credo di aver lasciato un buon ricordo, di aver rappresentato qualcosa di positivo.

Oggi quel ricordo si tramuta nell’omaggio di tanti. Come si vive qui ora?

Siamo una piccola valle e sentiamo i cambiamenti, c’è stato lo spopolamento. Mancano posti di lavoro sul luogo. Per fortuna ci sono importanti progetti come il contributo che il comune di Stelvio, uno dei 21 approvati in tutta Italia, ha ottenuto dal Pnrr per riqualificarsi e fare tornare i giovani scesi a valle. Lo trovo molto bello. Perché qui è bello, calmo, l’aria è fresca e si può sciare ancora quanto si vuole.

****

Ricordiamo che in edicola potete acquistare ancora il libro “Gustavo Thöni, Olimpiadi, Mondiali, 4 Coppe, i trionfi dell’uomo e del mito”, con prefazione di Alberto Tomba e testi di Beppe Conti a 11,90 euro più il prezzo del nostro quotidiano. Il libro verrà presentato da Thöni e dal nostro direttore Alberto Faustini a Corvara sabato 30 luglio alle 17.30.













Scuola & Ricerca

In primo piano