L'INTERVISTA piergiorgio casetti  

«Test d’ingresso a medicina?  Servono più posti» 

In 68 mila per 11 mila posti. Il primario di anestesia di Tione:  «È mancata del tutto la programmazione e oggi siamo in emergenza. Se va tutto bene un professionista per formarsi impiega 11 anni»


DANIELE ERLER


Trento. Oggi è il giorno dei test di ingresso nelle Università di medicina di tutta Italia ed è boom di iscritti. In totale, ci sono 68.694 candidati, poco più di 1600 in più rispetto all’anno scorso. In compenso, sono aumentati anche i posti a disposizione: quest’anno per medicina sono 11.568, rispetto ai 9.779 del 2018. Significa che circa uno studente su sei riuscirà a superare i test. Fra gli iscritti, ci sono anche molti studenti trentini: affronteranno le prove a Verona o in altre città italiane. In 100 minuti, dovranno rispondere a 60 quesiti: 12 di cultura generale, dieci di logica, otto di matematica e fisica, 12 di chimica e 18 di biologia. Si ottiene un punto e mezzo per ogni risposta corretta, se ne perdono 0,4 per ogni risposta sbagliata. Zero punti invece per la mancata risposta. I sogni e il futuro di tanti giovani dipende da questo test, attivato per la prima volta nel 1997. Ma in un contesto in cui è sempre più forte la carenza di medici, ha ancora senso mettere una barriera di questo tipo all’ingresso delle Università? Lo abbiamo chiesto a Piergiorgio Casetti, primario di anestesia e rianimazione a Tione e rappresentante degli anestesisti trentini, una delle specializzazioni a più forte carenza di professionisti.

Dottor Casetti, qual è la sua opinione sui test di ingresso a medicina?

Molti miei colleghi li vorrebbero eliminare perché ritengono che non sia un meccanismo equo, dato che ci sono domande che lasciano il tempo che trovano. Altri invece pensano comunque che la cultura generale sia importante. È una domanda difficile, perché in realtà i problemi vanno al di là del test di ingresso. Sono anni che sapevamo perfettamente che ci sarebbe stata una carenza di medici e non si è fatto nulla per prevenirla. Da un lato c’è l’esigenza da parte delle università di tenere contenuto il numero degli studenti, per questioni legate ai finanziamenti e all’organizzazione interna alle singole facoltà. Dall’altra c’è l’esigenza dei medici di lavorare in condizioni dignitose.

Quindi servono più medici, ma le università non riescono a formarli.

Infatti non mi scandalizza il fatto che ci sia un test, succede anche per altri percorsi di studio e anche all’estero. Ai miei tempi c’era comunque una scrematura: di solito fra il primo e il secondo anno, con gli esami più difficili. Nella situazione attuale mi scandalizza di più che ci siano così pochi posti a disposizione, rispetto alle esigenze. In questo è evidente l’incapacità e l’incompetenza dei nostri politici. Dovrebbero essere i ministeri a risolvere questa situazione, ma c’è un altro problema.

Quale?

Se va tutto bene, un medico impiega 11 anni per formarsi. Significa che serve una programmazione di lungo periodo per cambiare le cose. Ma i nostri politici guardano solo alle prossime elezioni. Sarà forse un problema legato ai finanziamenti. Ma la situazione è questa: stiamo importando sempre più medici. E in futuro probabilmente molte delle competenze saranno in capo agli infermieri. Io sono del 1955 e la mia generazione ha già iniziato ad andare in pensione. È una questione demografica, nulla che non poteva essere previsto per tempo.

Guardando al Trentino, recentemente si è tornato a parlare di due possibilità. Delle scuole di specializzazione, ed è una proposta dell’assessore Mirko Bisesti. Ma anche di una vera e propria facoltà di Medicina, ed è una proposta dell’assessore Stefania Segnana. Qual è la sua opinione?

Io penso che difficilmente saremo in grado di esprimere una facoltà di medicina a Trento. E senza una facoltà di questo tipo mi sembra difficile anche pensare alle scuole di specializzazione. Forse avrebbe più senso aumentare le borse di studio. O immaginare una facoltà di medicina regionale, del Trentino Alto Adige, per aumentare il bacino d’utenza e le possibilità. Comunque rimane lo stesso problema: sarebbe un investimento per il lungo periodo. Significherebbe raccogliere i frutti fra 10 o 15 anni.

Lei conosce bene la situazione degli anestesisti. Quanti ne servirebbero in Trentino?

Ad oggi almeno 15. Uno a Tione, due a Riva, tre a Cles, un paio a Cavalese. E poi c’è la carenza cronica a Rovereto e a Trento, dove c’è un notevole turnover. Questa è la situazione attuale. C’è un concorso in programma, con 38 iscritti: ma il mercato è aperto, non possiamo sapere quanti di questi si presenteranno davvero alla selezione e poi eventualmente accetteranno il posto.

Finora ci ha descritto un quadro con molte problematiche. Ma allora cosa direbbe ai ragazzi che oggi affronteranno i test di ingresso? E soprattutto, cosa direbbe ai medici del futuro?

Forse quando abbiamo iniziato noi, fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, avevamo più certezze davanti a noi. Ora ci sono più rischi, anche di contenziosi giudiziari. Ma penso comunque che iscriversi a medicina, con le giuste motivazioni, sia ancora una buona scelta. Forse impegnativa e di sacrificio. Ma comunque una buona scelta.













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