Stabilimento sequestrato per ordine della procura 

Sigilli al depuratore chimico: «Ma così l’attività diventa anti-economica» In gioco ci sono quasi 80 posti di lavoro. L’indagine della Dda partita dall’Appa



ROVERETO . Il terremoto all’Aquaspace risale a circa un mese fa. Era il 13 febbraio quando gli ufficiali di pg della Dda di Trento, su mandato dei magistrati Alessandra Liverani e Davide Ognibene, eseguirono il decreto di sequestro del depuratore chimico dell’azienda. L’indagine sarebbe partita da alcune analisi effettuate in azienda l’anno precedente dall’Appa, e secondo la Procura non c’era altro modo di verificare l’operato di Aquaspace. L’azienda reagì con durezza: Aquaspace fornisce attraverso il proprio depuratore biologico il servizio di depurazione alla Tessil 4, mentre il depuratore chimico, frutto di recenti investimenti, effettua depurazioni di residui di produzioni industriali per conto terzi. Al primo contatto con i sindacati, l’amministratore delegato Karim Tonelli annunciò che se il sequestro fosse durato più di qualche settimana sarebbe stato costretto a licenziare quasi tutti i 15 dipendenti, poiché rimettere in funzione l’impianto dopo un fermo prolungato sarebbe stato antieconomico. Avrebbe continuato a funzionare il solo depuratore biologico, che necessita al massimo due operatori. I sindacati iniziarono così a sollecitare il problema a livello politico, invocando l’intervento della Provincia per abbreviare il più possibile i tempi tecnici delle verifiche. Venne poi fissato al 21 marzo il termine per l’incidente probatorio, ma subito si capì che la vicenda non si sarebbe esaurita quel giorno. In breve, anche il consigliere delegato di Tessil 4 si affrettò a spiegare ai sindacati che a rischio era anche il destino dell’azienda tessile, in quanto gli oneri di depurazione, con il solo impianto biologico attivo, avrebbero un impatto considerevole sul costo del prodotto finito, ponendolo fuori mercato. Da qui l’ultimatum: o il depuratore riapre entro 50 giorni, oppure Tessil 4 chiude, mandando a casa i propri sessanta dipendenti. Il resto è storia recente: lunedì si sono riuniti i lavoratori delle due aziende e assieme hanno deciso di manifestare per la salvaguardia del proprio posto di lavoro: loro, di colpe, non ne hanno, ma sono l’anello debole di tutta la vicenda, quelli che rischiano il posto per davvero. Martedì il sindacato ha incontrato l’assessore Alessandro Olivi per esporre la situazione, e il vicepresidente della Provincia ha richiesto alla magistratura di fare presto, per poter limitare il più possibile il fermo macchine e permettere alle due aziende di ripartire. In gioco ci sono circa ottanta posti di lavoro. (gi.l.)

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