«Siamo usciti dal biologico per la troppa burocrazia» 

L’allarme. In val di Fiemme molte aziende del settore sono in difficoltà, come la cooperativa “Terre altre”: «Non abbiamo smesso di produrre prodotti biologici ma il protocollo ci soffocava»


Francesco Morandini


Tesero. C’è un grosso paradosso che investe il mondo del biologico in val di Fiemme, in particolare le piccole aziende o cooperative che devono fare i conti con una procedura certificativa che spezza le reni anche ai più determinati. La denuncia è venuta giovedì sera nella sala Canal della Cassa rurale di Tesero dalla presidente della cooperativa “Terre altre” Alessandra Dallafior nel corso dell’incontro organizzato da tre associazioni locali che il biologico e la filiera corta ce l’hanno nella mission: “Terre altre” appunto, cooperativa agricola e sociale, il Gruppo di acquisto solidale “Il Germoglio” e gli apicoltori di Fiemme e Fassa, allo scopo di illustrare, con l’aiuto di due membri del Comitato promotore, Emanuele Benvenuti e Fabio Giuliani, la proposta di referendum sul Biodistretto del Trentino.

«Nel 2018 siamo usciti dal biologico – ha commentato Dallafior – non perché abbiamo smesso di produrre prodotti biologici, ma per le carte. Siamo una piccola realtà e non ci è permesso dedicare ore a seguire il protocollo». Il paradosso è che Terre altre non utilizza nemmeno i prodotti consentiti dalla certificazione biologica. «Le monoculture hanno vita facile, in realtà noi siamo più bio di altri, ma ci hanno messo fra le aziende ad alto rischio. A malincuore, ma siamo stati costretti ad uscire». E non è finita qui perché, paradosso nel paradosso, hanno dovuto abbandonare anche il recupero delle sementi antiche e autoctone. Così chi cerca di salvare la biodiversità viene di fatto contrastato.

Che la certificazione bio possa essere una gabbia lo ha ribadito anche Roberto Dallabona, presidente del Gas “Il Germoglio”, timoroso che «molti possano tuffarsi nel bio attratti solo dal business. Noi – ha precisato – diamo più valore a come opera un’azienda che non alla certificazione. Ormai il bio lo troviamo anche nei discount, con il pericolo di annacquare la qualità della scelta biologica». Una scelta che per Marco Vettori, presidente degli apicoltori di Fiemme e Fassa è voluta, ma di fatto obbligata. «Le api non sono domabili e sono molto sensibili, soffrono sempre di più e sono in difficoltà anche per le stagioni bizzarre». Le api sono insetti che fanno da monitor ambientale e la cui vita è legata strettamente alla qualità dell’ambiente.

La proposta di referendum è stata sposata dalle tre associazioni e dal pubblico presente, invitato a firmare la richiesta di referendum nei Comuni. Il Biodistretto – hanno spiegato – è un patto territoriale per la gestione sostenibile delle risorse sul modello biologico che, soprattutto in Fiemme e Fassa, potrà e dovrà coinvolgere la sfera turistica, la filiera del legno, caratterizzandola anche con una denominazione che valorizzi i prodotti della valle. Potrà esserci un biodistretto della val di Fiemme? La norma prevede un distretto provinciale, ma nulla toglie che ogni territorio possa proporre le proprie tematiche, ha spiegato Fabio Giuliani, anche con la denominazione “Biodistretto del Trentino – Val di Fiemme”. Nessun obbligo comunque, è stato infine specificato, solo un’opportunità in più per chi vorrà passare al biologico.













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