LE CASE DI RIPOSO

Prime visite in Rsa: «Niente abbracci, ma che felicità» 

Porte aperte dopo oltre tre mesi. La commozione di familiari e ospiti: «Ci siamo stretti con lo sguardo, speriamo di farlo davvero al più presto»


Maddalena Di Tolla Deflorian


TRENTO. Le emozioni sono scivolate forti e intense e hanno colpito anche i cronisti, anche chi scrive. Erano belle le emozioni dei parenti ritornati, dopo mesi, a trovare in carne e ossa i congiunti anziani in casa di riposo: ieri è ricominciato infatti un rito di affetti e di sguardi, atteso, desiderato, pur con qualche preoccupazione. Abbiamo raccolto tre racconti, dalla voce dei protagonisti, che sorridevano dietro le loro mascherine, nel cortile della Apsp Margherita Grazioli di Povo, diretta, con grande attenzione e professionalità, da Patty Rigatti. Anche la direttrice e il personale erano visibilmente commossi.

Ogni visita dura, fra preparazione all’ingresso e incontro con il parente, circa trenta minuti. Le visite sono scaglionate e tutto è organizzato per garantire sicurezza quanto la relazione fra le persone e la loro privacy.

Bruno, di origine mantovane, tradite dal suo accento aperto come il suo sorriso, è il nostro primo interlocutore. Lo incontriamo, insieme alla direttrice, appena uscito dalla prima visita effettuata alla madre molto anziana da fine febbraio.

È commosso, gli occhi gli luccicano, la voce balzella. Ha piacere di raccontare. La madre ha la bellezza di cento anni e mezzo. Lo specifica lui stesso, che dobbiamo conteggiare mezzo anno oltre i cento. «Quanti anni ha lei adesso è stata una delle prime cose che mia madre mi ha chiesto, dice sorridendo il figlio della signora Nerina. «Lo sa che sono cento ma voleva esser sicura che il tempo strano, trascorso senza visite del suo unico figlio (io) non fosse più del calcolato! Mi ha detto che si ricorda quanto le piaccia giocare a carte». Bruno lo dice chiaramente: «Meglio vedersi dietro a un vetro, anche senza toccarsi, piuttosto che sentirsi solo al telefono, come eravamo costretti a fare in questi mesi. Vedersi e guardarsi, infatti, è metà della vicinanza. Ero preoccupato che in questi mesi senza le mie visite, mamma parlasse di meno e che questo incidesse sul piano cognitivo. Invece la ho trovata davvero bene. Qui sono tutti molto bravi e attenti, devo dire».

Le emozioni della moglie e della figlia Chiara di Elio, malato di Alzheimer, sono intense e le parole escono a fatica, travolte dalla commozione e dalle lacrime. Per Elio la malattia è un ostacolo significativo che rende più difficile godere appieno di una telefonata o di una visita con una barriera di vetro. Questo rende ancora più forte il sentimento di chi ha potuto andare a trovarlo, finalmente. «Siamo contente per l’empatia comunque ritrovata con il nostro caro» dicono madre e figlia. «Speriamo che presto ci si possa riabbracciare davvero».

Cristina è la terza nostra testimone. Esce anche lei molto commossa dall’incontro con la madre Eligia Gabriella, che ha solo 79 anni ma da tempo soffre di importanti problemi di salute, costretta in sedia a rotelle e dunque con una doppia fragilità. «La separazione forzata che abbiamo vissuto tutti, e il ritrovarsi dopo così, con una barriera e mille preoccupazioni, sono esperienze che ridanno valore alla profondità dei legami affettivi e che si spera ci facciano riflettere», spiega. La signora Eligia si è informata dello scorrere della quotidianità in famiglia, ad esempio chiedendo se la nipote è ancora felicemente fidanzata e come procede lo studio per prendere la sospirata patente. «Ci siamo abbracciate con i gesti, attraverso quel vetro di sicurezza», dice Cristina, sorridendo e quasi piangendo al tempo stesso.

Tutti loro hanno detto che hanno riscontrato cura, sicurezza, affetto da parte del personale e della direzione della Rsa. Ciascuno di loro sospira pensando a quando potrà abbracciare senza vetri madri, padri, nonni, parenti che hanno superato questo periodo di crisi e paure.

 













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