L’intervista

Miriam Vanzetta e l’Ama: il mutuo aiuto che guarisce

Dal volontariato alla professione: «Nati nel 1995. Crescono le esigenze, dall'alcolismo ai problemi di isolamento dei giovani»


Nadia Pedot


TRENTO. Miriam Vanzetta è la coordinatrice dell'Associazione A.M.A. - Auto Mutuo Aiuto, l'organizzazione di volontariato fondata da Stefano Bertoldi nel 1995 che spesso per prima ha saputo intercettare e rispondere alle complesse fragilità di persone e famiglie.

Qual è stato il suo percorso nel sociale?
La mia vita professionale è una scelta di lunga data: fin da ragazzina ho coltivato l'interesse e la passione per il sociale e le relazioni. Ho iniziato in parrocchia come animatrice e poi sono stata volontaria della cooperativa "La Rete". Mi sono laureata in Servizio sociale presso l'Università di Trento e ho conseguito la laurea specialistica a Trieste.

Com'è arrivata in A.M.A.?
Ho sempre trovato più interessante l'interazione di gruppo rispetto alla relazione con il singolo per cui, in occasione dell'ultimo tirocinio curriculare a Trento, ho voluto sperimentare questa dinamica associata ai disordini e ai disturbi alimentari, che all'epoca era un tema che mi stava a cuore e per cui ho fatto una richiesta specifica. In A.M.A. era attivo un gruppo con queste caratteristiche e quello è stato il primo aggancio. Poi, si è concretizzata una continuità lavorativa che dura dal 1999.

Il "segreto" di Ama?
La dimensione vitale e dinamica della metodologia dell'auto mutuo aiuto si adatta a qualsiasi tipo di bisogno o situazione ed è sempre attuale. Negli anni i gruppi sono cambiati e, anzi, siamo riusciti ad anticipare una risposta alle diverse esigenze: i tempi tecnici, affinché una problematica sia riconosciuta socialmente e a livello sanitario nei LEA (Livelli essenziali di assistenza, ndr), spesso non vanno di pari passo con le fragilità delle persone. Al momento abbiamo circa 150 volontari attivi nei vari progetti e l'équipe che coordina le attività è di 17 professionisti.

Di cosa si occupavano i primi gruppi?
La fortunata intuizione di Stefano Bertoldi, che insieme a un gruppo di operatori socio-sanitari ha fondato A.M.A. nel 1995, è stata applicare l'esperienza dei CAT, i club degli alcolisti in trattamento, su altre dipendenze e altre problematiche come il fumo e il sovrappeso. Poi, dalle richieste di singoli cittadini o di piccole associazioni che si occupavano di una tematica specifica, sono nati gruppi dedicati alla depressione, a persone separate e divorziate, a genitori di ragazzi disabili, e così via, a seconda dei cambiamenti della società, del contesto e della complessità.

È aumentata la complessità?
Senz'altro. Quando le persone arrivano in sede e vedono l'insieme dei volantini, buona parte ci dice che potrebbe stare in qualsiasi gruppo: depressione, fumo, ansia, separazione, lutto spesso si combinano.

Come funziona l'auto mutuo aiuto?
È il mantenimento dell'autodeterminazione, è un processo di riconquista della consapevolezza grazie a mutualità e reciprocità. In questi anni abbiamo accompagnato molte persone in percorsi estremamente significativi, partendo da sé con il sostegno di volontari, operatori non professionisti, attraverso l'importanza dell'esperienza.

Avete sviluppato altri servizi?
Abbiamo una chat per i giovani, una sorta di peer education in cui giovani volontari rispondono ai coetanei, una linea telefonica per la prevenzione al suicidio e il progetto "vivo.con" che si occupa di coabitazione solidale. Cos'è cambiato dalla pandemia? In generale le richieste e il target anagrafico sono aumentati: se fino ad alcuni anni fa la fascia era dai 30 agli 85 anni, ora è dai 18 agli 85. I diciotto-ventenni ci chiedono di incontrarsi in gruppi di auto mutuo aiuto, e questo ci dice che le relazioni naturali di quell'età, con i compagni di scuola, di attività sportiva o di contesto di vita come la compagnia del paese, per fare un esempio, per alcuni sono venute meno. Abbiamo attivato degli spazi centrati sui desideri, su ciò che piace fare. Le passioni e le capacità sono il medium per stabilire relazioni. Offriamo momenti di conversazione in inglese, spagnolo, francese, oppure attività creative come possono essere le lavorazioni a uncinetto e maglia. Le fragilità di questi anni sono legate alla salute mentale, come depressione, ansia, attacchi di panico o sfiducia nel futuro, e alla solitudine dilagante.

Un esempio?
Stiamo lavorando moltissimo sugli hikikomori, un termine giapponese che letteralmente significa "ritiro sociale": si tratta di giovani e adulti che smettono di avere contatti e occupazioni all'esterno delle mura domestiche o della propria camera. In molti casi è difficile distinguere la causa dall'effetto, capire se l'autoesclusione è "pura"o se è dovuta a una dipendenza da tecnologia, come videogiochi, social network o abuso di internet. Noi ci occupiamo di entrambi i fronti e al momento seguiamo famiglie con figli "ritirati" dai 10 anni, bambini che hanno smesso di andare a scuola in IV-V elementare dopo esperienze di bullismo o difficoltà con i compagni, fino a donne e uomini di 35, adulti che non escono di casa magari da 10-12 anni. La pandemia non ha creato il fenomeno, esisteva da prima. Il mutuo aiuto è una risposta.

Quali strumenti avete messo in campo?
Abbiamo erogato della formazione agli insegnanti delle scuole medie per sensibilizzare, offrire strumenti per cogliere eventuali segnali, agganciare le famiglie e supportare i ragazzi. È emerso uno scenario importante: ogni docente coinvolto ha segnalato uno o più minori in età di obbligo scolastico non frequentante. Per un webinar informativo abbiamo ricevuto più di 200 richieste di partecipazione, ogni settimana incontriamo 4 nuove famiglie di hikikomori. Sta partendo un terzo gruppo di auto mutuo aiuto, già al completo, e abbiamo una lunga lista d'attesa.

Dove si vede tra 5 anni?
Ho trascorso metà della vita lavorando nel sociale, potrei dedicare la prossima metà ad altri contesti anche del tutto diversi ma al momento è altamente improbabile.













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